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mercoledì 24 ottobre 2012

COSTANTINO 313 d.C.


 
 
«Quando noi, Costantino Augusto e Licinio Augusto, felicemente ci incontrammo nei pressi di Milano e discutemmo di tutto ciò che attiene al bene pubblico, [pensammo] che si dovessero soprattutto regolare le cose concernenti il culto [...], concedendo anche ai cristiani, come a tutti, la libertà di seguire la religione preferita»: che si tratti di un editto, come lo si è sempre definito, o di una semplice lettera, come suggeriscono alcuni studiosi, e che già due anni prima l’Editto di Galerio avesse concesso libertà di culto ai cristiani, poco importa: l’Editto di Costantino, o Editto di Milano (detto anche «della tolleranza»), emanato nel 313 d.C., resta una pietra miliare nella storia del mondo; un turning point gravido di conseguenze che avrebbero impresso una svolta radicale a un’età drammatica, di frontiera e di violenta transizione, in cui l’assetto del mondo sino ad allora conosciuto, l’Impero romano, stava collassando.
Tanto che la mostra COSTANTINO 313 d.C., celebrando un fatto avvenuto 1.700 anni fa, finisce per apparire ben più attuale di tanti eventi sulla contemporaneità.
Curata da Gemma Sena Chiesa e Paolo Biscottini che l’ha ideata, e prodotta da Comune di Milano-Cultura, Moda, Design, Palazzo Reale, Museo Diocesano di Milano ed Electa (suo anche il catalogo) con il supporto di Fondazione Bracco, Gruppo Credito Valtellinese e altri, la mostra, che si tiene dal 25 ottobre al 17 marzo in Palazzo Reale a Milano (poi dal 27 marzo al 15 settembre a Roma, al Colosseo e nella Curia Iulia), promette di essere uno degli appuntamenti culturali più significativi dell’anno.
Spiega a «Il Giornale dell’Arte» Paolo Biscottini: «Non è stato facile sondare la vera dimensione culturale e spirituale di Costantino, evitando ogni facile apologetica e attenendoci a una storia scarna in cui emerge soprattutto il senso del Khrismon in un’epoca complessa, densa di contraddizioni, così com’è anche la stessa figura dell’Imperatore. L’attenzione sui fatti, sui reperti, su Milano nel IV secolo, sulla straordinaria figura di Elena, ci ha portato a ragionare sulla fine dell’impero e l’alba di un’epoca nuova. Molte domande restano inevase. I dubbi ci hanno spesso tormentato. Ma abbiamo anche avvertito la forza del ragionamento di Ambrogio che, senza nulla concedere a Costantino, gli riconosce d’aver lasciato dopo di sé un’indubitabile eredità di fede».
Oltre 200 tra pezzi archeologici, opere d’arte e oggetti di lusso, giunti da grandi musei del mondo intero e divisi in cinque sezioni, raccontano ora quella storia complessa.
Introduce al percorso la nuova forma urbana assunta nel IV secolo da Mediolanum, che da pingue città di provincia diventa una delle capitali dell’impero: il Palatium, sede imperiale e amministrativa (nell’attuale via Gorani), le Terme grandiose (tra corso Vittorio Emanuele e via Larga), il quartiere di abitazioni e botteghe di piazza Meda e la necropoli di Sant’Eustorgio sono illustrati da pezzi archeologici, molti dei quali emersi negli scavi recenti e dunque mai visti prima. Si indaga poi la rivoluzione politica e religiosa avviata da Costantino per affrontare i tempi nuovi, con pezzi riferibili alla Tetrarchia e a Costantino stesso, che sappiamo fu autore anche di grandi efferatezze. Inevitabile la domanda: il suo «editto della tolleranza» fu un gesto di fede o di strategia?
Sposò la causa cristiana (Eusebio di Cesarea afferma che in punto di morte volle essere battezzato) o si servì di una religione di sempre maggior peso nella società del tempo per assecondare una trasformazione che vedeva ormai irreversibile? Impossibile per noi saperlo. Ciò che è certo, è che introdusse il Khrismon, simbolo di Cristo, e lo volle sui suoi vessilli nella battaglia vittoriosa contro il rivale Massenzio («in hoc signo vinces» gli suggerì un sogno, narra la tradizione): un segno cristiano che convisse però con persistenze pagane, come è provato dal rilievo con «Jupiter Dolichenus e altre divinità», dalla statua di «Iside Fortuna» o dal piccolo marmo di «Eracle» dei Musei Capitolini, documenti del sincretismo religioso del tempo ma anche della fertile commistione tra l’iconografia classica e quella cristiana. La mostra affronta poi i temi dell’esercito, della chiesa e della corte imperiale con ritratti, monete, oggetti sacri, splendidi oggetti di arti suntuarie (gioielli, argenti sacri e profani, gemme, cammei...), testimonianze del fasto che caratterizzava la vita di corte ma anche quella della Chiesa, divenuta ora pubblica e ufficiale. L’ultima sezione è dedicata a Elena, madre di Costantino, imperatrice e santa e, secondo la tradizione, colei che ritrovò la Croce di Cristo. Un tema questo che conobbe da subito una grandissima fortuna nell’arte: lo testimoniano in mostra la pergamena del IX secolo, da Vercelli, la miniatura del primo Rinascimento dell’Antifonario di Brescia, i dipinti di Cima da Conegliano da Washington e da Venezia, il bellissimo «Sogno di Elena» vaticano del Veronese e altre opere che documentano il culto per la santità dell’imperatrice, riconosciuta da secoli dalla Chiesa d’Oriente e d’Occidente.
di Ada Masoero, da Il Giornale dell'Arte numero 324, ottobre 2012