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mercoledì 29 febbraio 2012

Ad ogni morte di papa...

La tomba di papa Silvestro II


In San Giovanni esiste, piuttosto nascosta, la tomba di un altro papa Silvestro, Silvestro II, uomo di grande sapienza al quale nel Medioevo si aggiunse una sinistra fama di mago.
Si dice che la tomba originale, erettagli da papa Sergio IV, si inumidiva quando si avvicinava la morte di un cardinale, mentre trasudava acqua quando un papa veniva a morte.
Questo fino al 1684, quando, per volere di Papa Innocenzo XI, venne aperta per un'ispezione e le spoglie del papa, trovate intatte, si dissolsero al contatto con l'aria. Una parte dell'iscrizione sulla tomba di Gerberto recita Iste locus Silvestris membra sepulti venturo Domino conferet ad sonitum ("Questo luogo, all'arrivo del Signore, renderà al suono dell'ultima tromba i resti sepolti di Silvestro II"): la traduzione erronea di conferet ad sonitum con "emetterà un suono" diede adito alla curiosa leggenda che le sue ossa sbatacchino subito prima della morte di un papa.


Il secondo sepolcro venne innalzato da Francesco Borromini; la tomba attuale venne eretta nel 1910, a seguito della distruzione di quella borrominiana, su progetto dell'architetto Gzila Nalder.

Question time su Pompei: l’intervento del Ministro Ornaghi

Pompei di notteRispondendo alla Camera all’interrogazione avanzata dall’ On. le Francesco Nunzio Testa, il Ministro per i Beni e le Attività Culturali, prof. Lorenzo Ornaghi, ha illustrato le linee fondamentali del programma relativo al sito archeologico di Pompei.

Di seguito riportiamo il testo integrale dell’intervento:

Il consueto, iniziale ringraziamento agli Onorevoli interroganti è, in questo caso, nient’affatto rituale. È un ringraziamento sentito. Confido infatti che, sulla base di questa risposta, ciò che il Governo intende fare per Pompei, e sta già concretamente facendo con l’avvio di un nuovo programma, richiami l’attenzione dell’opinione pubblica. Sono convinto che, se da un lato le vigili cronache sulla situazione del sito di Pompei corrispondono soprattutto all’accresciuta sensibilità dei cittadini rispetto alla buona conservazione e alla fruizione del nostro inestimabile patrimonio culturale, dall’altro lato si accentui il rischio che la dilatazione degli elementi pur reali di allarme non solo produca un senso di ansia diffusa e domande di soluzioni immediate, ma anche oscuri l’approccio scientifico e operativo con cui si sta cercando di affrontare la questione.
I danni al patrimonio archeologico esposto alle intemperie – quindi, a tutto il patrimonio archeologico e non solo dell’area di Pompei – si sono sempre verificati. Nel passato lontano e più recente si è non infrequentemente posto rimedio a tali danni, con modalità che l’avanzamento delle tecnologie fa oggi considerare inadeguate e in qualche caso dannose.
Anche Pompei, area scavata di oltre 66 ettari, con i resti degli edifici del I secolo privi di copertura ed esposti agli effetti climatici, da oltre 250 anni subisce danni alle strutture murarie e agli apparati decorativi. A tali danni si è posto rimedio con le azioni di restauro; e, per gli interventi di urgenza, con azioni immediate e localizzate di messa in sicurezza. È fuorviante ritenere che sia esistita una mitica età felice e fortunata, in cui consistenti maestranze statali specializzate operavano giorno per giorno la manutenzione programmata del sito, così evitando o riducendo il pericolo di danni irreparabili. Non per caso l’area aperta al pubblico è sempre stata ridotta. Consueto è stato invece l’operare su due piani: quello degli interventi di urgenza su danni localizzati, e quello di parziali interventi di consolidamento e restauro di singole aree o domus.
Questi due livelli di azione, pur ancora necessari, tuttavia non bastano più. E per la prima volta ci si trova di fronte all’urgenza di un progetto complessivo, e oltremodo complesso, in grado di affrontare in forma interconnessa i principali problemi di Pompei. Li elenco: 1) la riduzione del rischio idrogeologico, con la messa in sicurezza dei terrapieni non scavati; 2) la messa in sicurezza delle insulae; 3) il consolidamento e restauro delle murature; 4) il consolidamento e restauro delle superfici decorate; 5) la protezione degli edifici dalle intemperie, con conseguente aumento delle aree visitabili; 6) il potenziamento del sistema di videosorveglianza.
Tale progetto è sostenuto e accompagnato da un rigoroso piano di studio scientifico e tecnico, con il rilievo e la restituzione tridimensionale, finalizzato alle diagnosi, all’approfondimento della conoscenza scientifica e al necessario orientamento delle imminenti scelte operative.
Il piano presenta numerose e significative novità. Novità di metodo, innanzi tutto. Esso infatti è un modello di “cooperazione interistituzionale rafforzata”, che è stato molto apprezzato dall’Unione Europea. Tale piano, inoltre, intende non solo mettere in campo sia le migliori forze e capacità del MIBAC, sia le competenze dei più autorevoli studiosi ed esperti nazionali e internazionali, ma è anche frutto dell’intesa con i Ministeri della Coesione Territoriale e dell’Interno. Insieme con i colleghi di questi dicasteri, oltre che con il Ministro del MIUR e con l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, ho già sottoscritto un “protocollo di legalità” con l’obiettivo di garantire legalità e trasparenza nella gestione delle risorse messe a disposizione dall’Unione Europea (che ammontano, lo ricordo, a 105 milioni di euro).
Ciò che ci si appresta in tempi brevi a fare è dunque:
indizione di gare pubbliche, con modalità telematiche a garanzia di trasparenza, integrità e maggiore celerità;
attuazione di interventi coerenti con le scelte tecnico-scientifiche e con le priorità della sicurezza del patrimonio, secondo il programma scientifico approvato dal Consiglio Superiore dei beni culturali;
rispetto di un calendario rigoroso, che a oggi prevede: a fine marzo 5 bandi per consolidamento e restauro di 5 domus; a metà aprile bando per la riduzione del rischio idrogeologico nel terrapieno delle Regiones III e IX, ossia l’area interessata dal crollo del novembre 2010 lungo via dell’Abbondanza; entro il 31 luglio bandi per la messa in sicurezza di tre Regiones e bando per il consolidamento e il restauro delle murature e degli apparati decorativi, e l’apertura al pubblico di almeno una domus lungo il percorso di visita, al momento chiusa; entro il 31 dicembre 2012 bandi per la messa in sicurezza delle altre cinque Regiones (in tutto sono nove). Il progetto si concluderà auspicabilmente a fine 2015;
pubblicazione di un elenco di ulteriori interventi da finanziare mediante sponsor privati, in applicazione della procedura semplificata prevista dal decreto legge n. 34 del 2011 su Pompei, in modo da valorizzare l’apporto, anche economico, dei privati;
avvio di un dibattito aperto a tutti gli interessati, sul piano scientifico-disciplinare e sul piano degli impatti economico-sociali. È la filosofia dell’open project, anche questa assai apprezzata in ambito UE.
La predisposizione di questo piano non ha peraltro resa inoperosa la locale Soprintendenza sul fronte dei necessari interventi rispetto ai danni localizzati e ricorrenti. La Soprintendenza interviene con fondi propri e, come nel caso del distacco di intonaco degli ultimi giorni, con il proprio laboratorio di restauro. I 25 giovani neo-assunti lavoreranno tutti esclusivamente su Pompei. Sono stati organizzati in squadre intersettoriali, per procedere alla ricognizione immediata dei danni e alla messa in sicurezza dei più critici.
Nel concludere, devo ricordare che, in questo quadro di condivisione di opportunità e di assunzione di responsabilità, il ruolo degli enti territoriali – Regione, Provincia e soprattutto Comune – si rivela cruciale. A tal fine, insieme con i Ministeri della Coesione Territoriale e dell’Interno, si aprirà fra poche settimane un tavolo di consultazione (e, successivamente, di decisione) con tali enti. Alla consapevolezza che la salvaguardia di Pompei è di inestimabile valore per la vitalità e la credibilità della cultura italiana nel mondo, si unisce intatti la convinzione che una buona e corretta impostazione dell’annosa questione di questo sito archeologico porta necessariamente con sé il fondamentale obiettivo dello sviluppo economico-sociale del territorio circostante.

martedì 28 febbraio 2012

Ravasi nuovo presidente Casa di Dante

Il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, e' il nuovo presidente della Casa di Dante di Roma, la quasi secolare istituzione chiamata a divulgare l'opera del Sommo Poeta. Ravasi e' stato eletto dal consiglio direttivo dopo aver preso atto delle dimissioni del presidente uscente, il senatore a vita Giulio Andreotti, motivate dalla sua ''eta' avanzata''. 


Il consiglio, esprimendo ''vivo rammarico per tale decisione e profonda gratitudine per l'attivita' da lui svolta in circa vent'anni alla guida dell'Ente morale'', ha nominato Andreotti presidente onorario della Casa di Dante. Il cardinale Ravasi illustrera' i progetti e le prospettive di sviluppo dell'antico sodalizio romano, in vista del centenario della fondazione (1913-2013) e del settecentenario della morte di Dante Alighieri (1321-2021), mercoledi' 7 marzo, alle ore 11.30. presso la Casa di Dante (Palazzetto degli Anguillara, Piazza Sidney Sonnino 5). Nella tradizione della Casa di Dante, di cui hanno tenuto la presidenza personaggi di spiccato rilievo, anche pubblico (dal fondatore Sidney Sonnino a Giovanni Fallani, da Luigi Gui allo stesso Andreotti), il consiglio direttivo con la scelta di Ravasi ha voluto scegliere ''un nome di grande prestigio, che e' anche una personalita' di straordinarie qualita' umane e culturali''.


Bagliori mai visti nella Battaglia di San Romano


Oro e argento di nuovo visibili in tutta loro «stupefacente bellezza» sulle lance e sulle corazze raffigurate nella «Battaglia di San Romano» di Paolo Uccello (182×323 cm), il celeberrimo capolavoro del 1438 custodito alla Galleria degli Uffizi di Firenze. A distanza di oltre tre anni, si avvia così a conclusione il restauro dell'opera, curato da Muriel Vervat, che sarà in mostra dal prossimo 19 giugno nell'ambito dell'esposizione «Bagliori dorati. Il gotico internazionale a Firenze 1375-1440». La rimozione delle vernici ossidate e delle polveri ha «restituito una insospettata leggibilità» alla tavola che fa parte di un trittico (gli altri due elementi sono al Louvre di Parigi e alla National Gallery di Londra). Ad annunciarlo Angelo Tartuferi, uno dei curatori della mostra insieme ad Antonio Natali ed Enrica Neri Lusanna, che è stata presentata ieri alla Biblioteca Magliabechiana degli Uffizi in occasione del lancio del progetto «Un anno ad arte» curato dal Polo Museale Fiorentino. Le vernici ossidate non rimosse dal 1954, anno del precedente restauro, avevanno reso illegibile nella loro «smagliante lucentezza originale» i particolari creati da Paolo Uccello. L'artista impiegò infatti lamine di argento e di oro sulla tempera su tavola, che poi lavorò con punzoni e a mano. «Il risultato della delicata, esemplare e mirabolante pulizia dell'opera creerà nello spettatore un effetto stupefacente quando ammirerà il restauro», ha aggiunto Tartuferi.

Il programma espositivo di «Un anno ad arte» si compone di sei mostre. Apre il ciclo, il 20 marzo alla Galleria degli Uffizi «La Galleria degli arazzi. Epifanie di tessuti preziosi» (fino al 3 giugno). A Palazzo Pitti il 3 aprile s'inaugura «Giappone, terra di incanti» (fino al 1° luglio) mentre dal 16 maggio al 16 settembre il Museo Nazionale del Bargello accoglie «Fabulae pictae. Miti e storie nelle maioliche del Rinascimento al Bargello». È incentrata su cultura, usi e tradizioni dei nativi americani «La nuova frontiera», con opere dalle collezioni del Gilcrease Museumm visibile nell'andito degli Angiolini di Palazzo Pitti dal 3 luglio al 9 dicembre, mostra che celebra anche i 500 anni della morte di Vespucci. «Arte torna arte» è la proposta della Galleria dell'Accademia dall'8 maggio all'8 settembre, mentre la citata «Bagliori dorati» sarà visitabile agli Uffizi fino al 4 novembre.

Quando la tecnologia sposa l'arte, 'Visioni impossibili' di alcuni capolavori

 
Roma - (Adnkronos) - Al Museo della Scienza di Milano dall'1 all'11 marzo veri e propri cloni, stampati in dimensioni reali e di assoluta fedeltà cromatica agli originali, di sette capolavori di Botticelli, Leonardo e Raffaello

Lux in Arcana - L’Archivio Segreto Vaticano si rivela

Sarà la prima e forse unica volta nella storia che valicheranno i confini della Città del Vaticano.
E lo faranno per essere accolti ed esposti nelle splendide sale dei Musei Capitolini di Roma. Si tratta di 100 originali e preziosissimi documenti scelti fra i tesori che l’Archivio Segreto Vaticano da secoli conserva e protegge.
La mostra organizzata in occasione del IV Centenario dalla fondazione dell’Archivio Segreto Vaticano vuole spiegare e raccontare che cos’è e come funziona l’Archivio dei Papi e, nel contempo, rendere visibile l’invisibile e permettere di accedere ad alcune meraviglie finora custodite nei circa 85 km lineari di scaffali dell’Archivio Segreto Vaticano; verranno infatti esposti documenti di straordinaria valenza storica, che coprono un arco temporale che va dall’VIII secolo d.C. fino al XX secolo.
Il titolo “Lux in arcana” comunica il principale obiettivo della mostra: la luce che filtra nei recessi dell’Archivio illumina una realtà preclusa ad una conoscenza superficiale, ma fruibile solo attraverso il contatto diretto e concreto con le fonti dell’Archivio, che per la prima volta apre le porte alla scoperta della storia, a volte inedita, raccontata nei documenti. La mostra verrà arricchita da allestimenti multimediali, guidati da una rigorosa quanto coinvolgente narrazione storica, per permettere al visitatore di assaporare alcuni famosi eventi del passato e di “rivivere” i documenti, che si animeranno con il racconto dei retroscena e dei personaggi coinvolti.
I 100 documenti - scelti tra codici e pergamene, filze e registri e manoscritti - rimarranno in esposizione per circa sette mesi, dal 1° marzo a settembre 2012, ai Musei Capitolini.
Una prestigiosissima sede, prescelta per ospitare questo evento memorabile che sottolinea il profondo legame fra la città di Roma e il Papato fin dall’età medioevale; alla sensibilità per le arti di Sisto IV si legano infatti le origini di entrambe le istituzioni coinvolte nell’evento, ma allo stesso tempo la storia custodita nell’Archivio Segreto Vaticano si intreccia con la storia dell’Italia, dell’Europa e del mondo intero.
L’Archivio Segreto Vaticano costituisce un patrimonio culturale dell’umanità che ha come epicentro la città di Roma. È per questo che la mostra è stata realizzata in collaborazione con Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico - Sovraintendenza ai Beni Culturali di Roma e Zètema Progetto Cultura.

Questa memorabile mostra sta già creando un’enorme aspettativa, alimentata dal misterioso fascino che l’Archivio Segreto Vaticano genera nell’immaginario collettivo.
Tutto ciò farà di Lux in arcana - L’Archivio Segreto Vaticano si rivela un evento dal valore scientifico e mediatico senza precedenti.




Per maggiori info: http://www.luxinarcana.org/

lunedì 27 febbraio 2012

Alla ricerca di Monna Lisa...


"Al momento ci troviamo nella fase di assegnazione dell'appalto per la nuova serie di scavi - ha spiegato Vinceti - entro questo mese o al massimo all'avvio del prossimo la ricerca ripartirà". La prima serie di scavi, preceduta da una analisi al georadar dei sotterranei, si era svolta sotto gli occhi dei media di tutto il mondo, tra maggio e giugno dello scorso anno. "Ora continueremo a cercare non solo nella chiesa, ma in vari punti del chiostro grande ed anche in quello piccolo - ha spiegato Vinceti - perché ai tempi di Monna Lisa era consuetudine seppellire le persone sotto il pavimento dei chiostri. in sostanza, dunque, questa parte dell'intervento durerà altri due mesi". Finora, ha poi ricordato il presidente, nell'ambito della ricerca sono stati riportati alla luce vari reperti di ossa umane umane: "l'idea è quella di completare il recupero di tutti i resti che potremo trovare, e quindi di farli analizzare da un team interuniversitario di esperti, che verificheranno se tra quanto abbiamo trovato possano esserci le spoglie della Gioconda. Per la fine di settembre - ha ipotizzato - potremmo avere la chiusura del cerchio".
L'indagine è stata sostenuta, tra gli altri, dalla Provincia di Firenze e da National Geographic.

Il Cimitero Monumentale di Staglieno a Genova

Il cimitero di Staglieno deve la sua notorietà e il suo valore non solo ai grandi
personaggi che vi sono sepolti, ma soprattutto alla ricchezza di monumenti scultorei ed architettonici che contiene.
Sebbene ancora incompiuto, venne inaugurato ufficialmente il 1° gennaio 1851 seguendo in parte il progetto dell’architetto Carlo Barbino. La realizzazione fu affidata a Giovanni Battista Resasco, continuatore dell’opera del maestro. L’impronta architettonica di Staglieno è neoclassica, la stessa di gran parte dei palazzi più rappresentativi di Genova, come il Teatro Carlo Felice e l’Accademia.
Alla struttura quadrangolare del nucleo originario si è aggiunta nel corso degli anni l’espansione verso i declivi collinari, e l’intenso sviluppo della vegetazione ha conferito all’insieme un aspetto fortemente suggestivo di fusione tra architettura e natura circostante. Il Pantheon infatti, contornato dai porticati superiori, collegati attraverso la monumentale scalinata a quelli inferiori si adagia sulla verde collina retrostante che, popolata da una sempre più fitta vegetazione ospita cappelle e monumenti disseminati e seminascosti nel verde. In quest’area si trovano la Tomba di Giuseppe Mazzini e quelle di molti protagonisti del Risorgimento.
A Staglieno si sono succeduti gli stili artistici di oltre un secolo, dal Neoclassicismo al Realismo, fino al Simbolismo, al Liberty e all’Art Déco, dando vita ad una scuola di scultori le cui opere si sono diffuse oltre i confini regionali e nazionali.
Il cimitero, nato a metà del secolo XIX e sviluppatosi con grande intensità rappresentativa fino a dopo la prima guerra mondiale, segue con perfetto parallelismo storico e culturale vicende, ideali, l’idea stessa della vita di una classe in ascesa, la borghesia: dai momenti della massima crescita fino alle crisi di identità che segnano la sua storia negli ultimi decenni dell’Ottocento e nei primi del Novecento.
Innumerevoli sono le testimonianze di personaggi storici, letterati e artisti che, pur con giudizi diversi, ricordano la grande impressione e il fascino di questo luogo di memorie pubbliche e private, in cui la volontà monumentale si unisce, inscindibilmente, alla suggestione ‘romantica’ del paesaggio, in un intreccio strettissimo fra monumento, architetture, memorie storiche e natura.
Per informazioni e visite: http://www.staglieno.eu/it/

sabato 25 febbraio 2012

Grazie!

Da un blog nato per caso ma che ha incontrato molti estimatori nazionali e internazionali:


venerdì 24 febbraio 2012

Michelangelo in mutande...


Non è una metafora parlare delle braghe di Michelangelo, tutto iniziò da uno scontro, riferito dal Vasari nella Vita di Michelangelo, tra l’artista e Biagio Martinelli, detto il “montianese”, che lo accusò apertamente di indecenza per le “nudità” dipinte nel “Giudizio universale” della Cappella Sistina e ne chiese la scomunica per “l’indecenza degli ignudi”.
L’artista, forte della sua arte, si vendicò di tale diffamazione dipingendo il profilo di Minosse utilizzando le sembianze del volto di Biagio Martinelli, immortalato con orecchie d’asino.
Il contenzioso durò 30 anni e nel frattempo i due morirono, ma vinse la linea del montianese. Così nel 1564, un anno dopo la fine del Concilio di Trento, quando Michelangelo era già morto, viene deciso la censura dei nudi del Giudizio Universale nella Cappella Sistina.
È stato un collaboratore ed amico di Michelangelo, Daniele da Volterra, a coprire la nudità delle figure con le famose “braghe”, cosicché da allora è stato soprannominato il Braghettone (anche se non è stato l’unico a mettere le mutande ai santi, e la censura è continuata anche nei secoli successivi).
La maggior parte delle braghe è dipinta a tempera sopra l’affresco originale, che quindi si è conservato al di sotto delle ridipinture. Solo 20 anni fa, con il grande restauro, che ha ridato smalto e lucentezza al grande capolavoro, e grazie due copie dell’affresco fatte da Marcello Venusti (1549) e da Giulio Giovio alcune di quelle braghe sono state tolte ai personaggi, ritornati nudi come Michelangelo li aveva dipinti.

Il post è preso tout court da http://profartevanvitelli.wordpress.com/ ottimo sito che raccomando.

L'abbazia di San Colombano a Bobbio


Dal sito ufficiale del Comune di Bobbio rilancio alcune notizie circa l'abbazia di Bobbio che merita un'escursione nel fine settimana.

La costruzione del Monastero di San Colombano incominciò verso la fine del IX secolo quando l'abate Agilulfo prese la decisione di trasportare l'intero complesso cenobitico - il primo nucleo si era sviluppato intorno alla basilica di San Pietro dove oggi è il Castello. L'attuale complesso risale al periodo 1456-1522 e solo in parte è stata risparmiata la struttura dell'antica basilica protoromanica di cui sono visibili un breve tratto dell'abside circolare e parte della torre campanaria.
La Basilica nonostante la semplicità degli elementi decorativi ha una struttura grandiosa che esprime l'architettura di transizione tra il periodo gotico e il rinascimento. La composizione pittorica della navata centrale è opera di Bernardino Lanzani da San Colombano al Lambro e databile al 1526-30. Due rampe di scale situate ai lati della cappella maggiore permettono l'accesso alla cripta passando per un piano-ambulacro posto a mt 2,40 sotto il livello del pavimento superiore. Qui dietro un'inferriata è visibile un pregevole mosaicodella prima metà del XII secolo .

La composizione, divisa in due parti - la raffigurazione simbolica della lotta tra bene e male e il calendario - era orientata verso il popolo assumendo una funzione didattico-ornamentale per i fedeli che potevano ammirare scene bibliche e apprendere la struttura dei mesi dell'anno. Entrando nella cripta sulla destra troviamo una bella cancellata in ferro che in origine racchiudeva il coro monastico per impedire che la preghiera dei monaci fosse disturbata da occhi profani.. Al centro della cripta è custodito il sarcofago di San Colombano e sulle pareti a lato due transenne longobarde usate per i sepolcri di san Attala e san Bertulfo ,rispettivamente secondo e terzo abate di Bobbio. Il complesso abbaziale inoltre ospita il Museo dell'Abbazia -raccolta di materiali archeologici e opere legate alla figura del Santo dal IV al XVIII - e il Museo della Città, percorso didattico introduttivo alla città ospitato, nei locali dell'ex refettorio e lavamani-(ingresso chiostro interno).

Il battistero di Velezzo in lomellina

Segnalo oggi un piccolo capolavoro, sconosciuto ai più, e poco noto anche agli addetti ai lavori.
Io lo conosco bene per vari motivi e credo sia importante farlo conoscere.

La Pieve di Velezzo è un aggruppamento di cascinali bassi, intorno alla Chiesa ed al suo battistero. Il luogo è deserto e le antiche costruzioni sembrano perdersi nell'immensità della campagna tra i filari dei pioppi e il cielo.
Eppure siamo in uno del luoghi più antichi della Lomellina, forse il primo centro cristiano di questa terra, situato al di fuori dell'abitato di Lomello, allora maggiore città della zona, ed a poca distanza dalla strada per le Gallie.
La Pieve, dedicata alla Natività di Maria, era in decadenza già nel IX secolo; dopo il Mille perse la sua autonomia e divenne dipendenza della chiesa di Lomello: per questo il popolo la chiamava Santa Maria Minore.
La chiesa attuale, accanto ai numerosi rifacimenti, conserva notevoli tracce dell'originaria architettura romanica, fra cui l'abside, il campanile ed gli elementi decorativi del fianco verso il cortiletto.
Molto più antico è sicuramente il Battistero (sec. XI) che, grazie ad un intervento di restauro, rivive oggi dopo le offese subite nel passato quando fu usato come camera da letto e cantina della canonica. E una costruzione singolare, sia per la sua pianta circolare, con una piccola abside ed un protiro rettangolare, sia per i motivi decorativi ad archetti pensili e la caratteristica struttura della muratura con corsi di mattoni a spina di pesce.

Le poche notizie le ho prese in prestito dal bel sito: http://www.storiadeisordi.it

giovedì 23 febbraio 2012

La Grande Piccola Maestà di Ambrogio Lorenzetti

 
Esposto a Catanzaro nel contesto di una rassegna dedicata a divinità e miti, manifestazione che ha coinciso con la ‘Notte Piccante’, che la città dedica ai suoi prodotti tipici sotto l’egida della UE, il capolavoro di Ambrogio Lorenzetti viene ora riproposto a Siena sino a giugno.
Ammirata da oltre mille visitatori già nel giorno della ‘vernissage’ calabrese, questa tavola di dimensioni contenute, concentra in sè tutte le più alte qualità dell’arte senese del Trecento e per questo è stata scelta per essere oggetto di una esposizione monografica che consenta di leggere con facilità una creazione di altissimo livello formale che concilia contenuti religiosi e sociali in modo esemplare così come si riscontra in gran parte dell’attività di questo coltissimo artista. Basti la straordinaria presenza sotto il trono della Vergine di un tappeto anatolico (dell’epoca ci restano solo frammenti) che propone anche il motivo, che sarà tipico dei Kilim, della ‘Grande Madre’ partoriente di origine protostorica, e qui compenetrato con medaglioni ad animali di analoga allusione alla Natura sovrana.
Restaurata e ora protetta, grazie alla sponsorizzazione della città calabrese, da una adeguata teca climatizzata e a prova di sfondamento, l’opera può essere pienamente goduta dal pubblico senza pregiudizio per la sua conservazione, venendo riproposta, se del caso, in altri contesti, accompagnata da un ricco e puntuale corredo illustrativo che ne agevola la comprensione.
La mostra, che si apre nell’ambito delle manifestazioni ministeriali per la festa di San Valentino, da l’avvio ad una serie di iniziative sulle opere della Pinacoteca Nazionale di Siena per rendere più evidente ed accessibile quella che è la più cospicua raccolta di arte medievale della Nazione.

Per divulgare l’operato nel settore e per agevolare e semplificare il rapporto con gli utenti, la Soprintendenza BSAE di Siena Grosseto ha da tempo attivato anche un profilo su Facebook e alle prime 20 coppie dei suoi “Amici” che in occasione dell’inaugurazione (14 febbraio, ore 9:30) si presenteranno presso l’Ufficio Relazioni con il Pubblico facendosi identificare, regalerà il catalogo della mostra come omaggio per il giorno di San Valentino.


Orari di apertura al pubblico della mostra (dal 14 febbraio al 17 giugno 2012)
Da martedì a sabato: 8:15 - 19:15
Domenica, lunedì e festivi: 9:00 - 13:00
Biglietto integrato con la Pinacoteca Nazionale di Siena (intero € 5,00 – ridotto € 2,00)

Info: Ufficio Relazioni con il Pubblico
Soprintendenza BSAE di Siena e Grosseto
Via del Capitano n. 1, 53100 Siena
Tel: 0577/41246
e-mail:
sbsae-si.urp@beniculturali.it

PHILIPPE DAVERIO, INTELLETTUALE SENZA TEMPO



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Omaggio a un "grande"...
Philippe Daverio, gallerista e libraio in Milano, italiano d’acquisizione e “franco-crucco” (così si definisce) di formazione culturale, alla domanda su che ne pensa dello stile italiano fa una disamina precisa e tagliente.
“Per la borghesia del nostro paese vale il contrario di ciò che Karl Marx scriveva analizzando questa classe sociale nell’ambito nord europeo e definendola ‘oggi peggio di ieri e domani peggio di oggi.

Ecco, in Italia siamo all’opposto: i veri ineleganti e senza stile si acquattano tra i 
pronipoti della piccola nobiltà di provincia e dei professori di liceo degli anni ’30. 
Ho grande simpatia per il piccolo borghese nostrano Alberto Sordi, per il ragioniere antropologicamente corretto e funzionale a se stesso alla Lévi-Strauss. 
Mentre mi fa imbestialire il déplacé: nel déplacement c’è la categoria senza stile di chi vuol essere identificato per il vestito, che indossa come il manager di seconda categoria con l’orologio portato sopra il polsino della camicia, o come chi sceglie per forza ‘lo sciancratino sub-Caraceni’, quello che Leo Longanesi definiva ‘né di Londra, né di Biella’. E ancora, nel déplacement si assiste a mirabili esempi di kitsch quale può essere il cachemire comprato a Portofino per andare in barca, quando si sa benissimo che la lana giusta è quella cruda e ‘fredda’ dei marinai”.
[…] “Per caso e non per merito sono autenticamente italiano, francese e tedesco. Ma riuscirei ad essere autenticamente maremmano o provenzale, come sono stato autenticamente vestito da Savile Road quando per cinque anni ho lavorato in un ufficio a New York. Questo per dire che oggi si è locali e cosmopoliti e che anche ai tempi nostri la cosa di più difficile comunicazione è la più esteriore e cioè il vestiario, che sta come un punto in equilibrio fra la cafonaggine della macchina e l’esoterismo della casa.”
[…]Dopo l’ammissione di possedere tanta roba, immediata segue [da parte di Daverio] la spiegazione: “Vede, tendenzialmente il maschio è collezionista e ha nei confronti del proprio guardaroba un atteggiamento ‘da Medici’, ossia il guardaroba è il contenitore del tesoro. Ci sono dei momenti in cui si compra tanto mai io, per esempio, da quando tira aria giacobina non ho più acquistato nulla, perché vivo del mio tesoro. Comunque quello che lei definisce il mio stile ha due matrici ben precise: la passione per l’usato – e purtroppo quello doc di livello è in estinzione finché non è vintage, perché diventa seconda pelle e sta benissimo mescolato con le opere della mia seconda fissazione che è il sarto (n.d.r.: l’80% dei suoi vestiti è confezionato su misura da Ambrogio Viganò) che mi permette di applicare il massimo della mia fantasia. In materia di stoffe, che compro rovistando nei fondi di magazzino come faccio cercando i mobili di casa fra gli invenduti delle aste, e in materia di stilismo perché ci tengo a disegnarmi addosso i vestiti. Per il resto, non sopporto le griffe, sono un consumista di camicie che non mi piace comprare a caro prezzo, soffro di tutto ciò che è trendy e amo il formalismo dello smoking perché implica il prendere una doccia prima d’indossarlo.”

Tratto da "La Regola Estrosa - cent'anni di eleganza maschile in Italia", Electa 1993

mercoledì 22 febbraio 2012

Il Museo Nazionale d’Arte Catalana


Volentieri e con gioia segnalo l'articolo che segue dal sito: http://spaghettibcn.com

Il MNAC, Museo Nazionale d’Arte Catalana è una meta imprescindibile per comprendere lo sviluppo storico, sociale, culturale e dunque artistico della Catalunya, la sua straordinaria collezione d’arte racchiude infatti ben 1000 anni di storia e tutte le discipline, dalla pittura alla scultura, il disegno, la stampa, la fotografia e la numismatica.
Suddiviso in differenti settori cronologici ed aree tematiche il museo è nato con l’intento di conservare e far conoscere la più grande collezione d’arte catalana esistente al mondo, dall’epoca romanica fino ai giorni nostri.
Le esposizioni d’arte romanica e gotica sono le più rappresentative di un’espressione prettamente catalana, mentre a partire dalle esposizioni dedicate al rinascimento, proseguendo poi per le sale dal barocco fino all’avanguardia, la collezione si arricchisce di opere più internazionali create da artisti quali Zurbaran, El Greco, Annibale Carracci, Velazquez, Rubens, Dalì, Picasso ecc…

 

La sede del Palau Nacional

Il MNAC ha sede nel Palau Nacional, un imponente edificio costruito in occasione dell’Esposizione Universale di Barcellona del 1929 straordinariamente in soli tre anni di maestranza, ovvero dal 1926 al 1929. Le architetture del Palau Nacional, opera di Eugenio Cendoya ed Enric Catà, sotto la supervisione di Pere Domènech i Roura, dominano l’intera città grazie alla fortunata posizione sull’elevato Montjuïc.
Il breve lasso di tempo che ha portato alla costruzione del Palau, pensato come edificio centrale del complesso architettonico messo in atto per accogliere l’Esposizione Universale del 1929, è testimoniato purtroppo dalla poca stabilità mostrata dal palazzo nel corso degli anni, causa congiunta l’utilizzo di materiali poveri per l’edificazione. Quando nel 1934 il Palau Nacional venne adeguato come sede del MNAC fu infatti necessario operare delle ingenti misure di riadattamento strutturale.
Un dato storico rilevante che ha portato alla rapidità dei tempi di costruzione dell’edificio è rappresentato dall’ascesa al potere di Miguel Primo de Riveira, il progetto originale era nato infatti da un’idea dell’architetto e uomo politico catalano Josep Puig i Cadafalch nel 1915, destituito nel 1923, a lavori già iniziati, dal dittatore, sia come direttore delle opere per l’esposizione universale che come presidente della nascente Mancomunitat de Catalunya, istituzione politica di autogoverno.
Il nuovo progetto del Palau Nacional è nato e si è sviluppato dunque in soli tre anni in uno stile eclettico e storicista che racchiude importanti elementi architettonici del rinascimento e del barocco spagnoli dalla forte ispirazione classica.
La superficie del Palau Nacional è di 32.000 m² con pianta rettangolare composta da due corpi laterali ed uno centrale quadrato dominato dalla grande cupola ellittica che ricorda quella della Basilica di San Pietro. Una grande scalinata congiunge il palazzo con il complesso di fonti e cascate dove è possibile ammirare lo spettacolo della Fonte Magica creato dall’ingegnere Carles Buïgas, che provvedette anche a collocare nell’edificio un enorme proiettore che tuttora emette dei grandi fasci di luce visibili dall’intera città.
Il palazzo, composto e maestoso con il suo blocco centrale che si offre alla vista particolarmente severo, senza l’apertura di finestre, rappresenterebbe simbolicamente, secondo alcuni storici, l’oppressione dittatoriale. Aldilà delle possibili interpretazioni simboliche rimane il fatto che grazie alla sua posizione, nel verde del Montjuic, merita senza dubbio una visita turistica, sia per l’importante collezione artistica che ospita, sia per la bellissima vista su Barcellona che domina.
Nel 1990, in seguito ad una nuova legge museale, si decise di utilizzare il Palau Nacional come sede unica di molteplici istituzioni d’arte catalana, in grado di racchiudere sia l’arte romanica, gotica, rinascimentale e barocca, che le collezioni d’arte moderna, di fotografia, di disegno e stampa e di numismatica.
I lavori di riadattamento per ospitare le ingenti opere accumulate nei tempi in una sede univoca vennero diretti dal noto architetto italiano Gae Aulenti coadiuvata da Enric Steegman, Josep Benedito Rovira e Agustí Obiol. Il progetto ebbe un costo di ben 6 milioni di euro ma non venne del tutto messo in atto. Gli ultimi interventi di restauro e riadattamento del MNAC si conclusero infatti solo nel 2004.

 

La collezione

Il Museo Nazionale d’Arte Catalana offre una visione complessa sia dello sviluppo di un’espressione artistica autoctona, coincidente non a caso con gli anni di maggior splendore politico ed economico della Catalunuya, dal medioevo fino al ’500, sia dell’evolversi di un linguaggio artistico più internazionale, rappresentato dall’influenza fiamminga quattrocentesca e la nascita del rinascimento in Italia fino al barocco, il neoclassicismo e le avanguardie.
Le collezioni sono suddivise in:

 

Arte Romanica

La collezione d’arte romanica è considerata una delle più importanti esistenti al mondo e sicuramente la più importante del museo grazie alla straordinaria esposizione di pitture murali dei secoli XI-XIII provenienti da differenti edifici ecclesiastici della Catalunya.
Curiosamente questa collezione nasce, più che dalla volontà di esporre in un unico ambiente l’espressione artistica sviluppatasi in ambito romanico in questa regione, dalla necessità di bloccare la pericolosa spoliazione che avveniva nelle tante chiese sparpagliate in luoghi spesso remoti della Catalunya, soprattutto nei Pirenei.
Nel 1918 un collezionista americano acquistò le pitture murali della chiesa di Santa Maria de Mur. Per l’occasione vennero chiamati ad effettuare il complicato lavoro di estrazione delle pitture un gruppo di restauratori italiani che introdussero la tecnica cosiddetta dello strappo, che divenne però ben presto un pericoloso metodo di saccheggio. L’Istituto di Studi Catalani e la Giunta dei Musei della Catalunya bloccarono fortunatamente in tempo questa pericolosa razzia chiedendo agli stessi restauratori italiani di estrarre le pitture murali più importanti e rappresentative per trasportarle in un luogo protetto, nasceva così la splendida collezione di arte romanica visibile attualmente al MNAC.
Spicca per bellezza la pittura murale proveniente dall’Abside di San Clemente di Taüll, considerata una delle più importanti espressioni del romanico europeo grazie alla combinazione di differenti temi biblici.
Una straordinaria potenza espressiva e narrativa contribuisce all’importanza dell’opera che proietta lo spettatore verso orizzonti artistici dal fascino avanguardista del ’900.

 

Arte Gotica

La collezione d’arte gotica comprende opere create in un lasso di tempo che va dal 1200 fino alla fine del ’400 rappresentative di un periodo storico di grande sviluppo ed internalizzazione della Catalunya. Gli artisti che maggiormente rappresentano questo periodo sono i pittori Lluís Borrassà, Jaume Huguet, Bernat Martorell, Bartolomé Bermejo e il maestro indiscusso che rappresenterà lo sviluppo rinascimentale della “maniera gotica catalana”, Lluís Dalmau.
Il retablo pittorico fa da padrone in questo periodo, ovvero un nuovo concetto di decorazione d’altare costituito da un complesso di tavole unite tra loro a formare una struttura movibile e richiudibile.
La peculiarità del retablo si trova nel fatto che, costituito da più tavole unite da un sistema di ganci, permetteva di rappresentare diverse scene narrative che variavano dalla vita e il martirio dei santi, molto in auge nel tardo medioevo, ai passi più importanti dei vangeli, della vita di Cristo e della Bibbia.
Molte delle opere esposte in questa sezione rappresentano una straordinaria espressione artistica dalla peculiarità tutta territoriale che si rivela nel ripetersi di elementi caratterizzanti. Un retablo gotico catalano si riconosce molto spesso dall’utilizzo di alcuni canoni quali la stilizzazione dei volti, soprattutto degli occhi.
Con lo scambio con le diverse culture del Mediterraneo, che ha portato la Catalunya ad essere uno dei centri mercantili più importante dell’epoca, l’arte gotica catalana è stata arricchita dall’influenza del gotico internazionale del gotico italiano e soprattutto della pittura fiamminga.
Scegliere un’unica opera emblematica del periodo gotico tra le tante esposte nel museo è compito arduo, almeno alla redattrice, ma è sicuramente importante soffermarsi davanti alla bellissima Vergine dei Consiglieri realizzata nel 1445 dal pittore Lluís Dalmau.
Per molti storici dell’arte questo straordinario dipinto rappresenta l’apice della cultura artistica gotica e l’acquisizione di un linguaggio internazionale dai riflessi già rinascimentali. Il dipinto venne commissionato dal Consell de Cent per la decorazione della Cappella della Casa della Ciutat.
Le figure a grandezza naturale rappresentano la Vergine con il bambino seduta su un imponente trono gotico attorniata da Sant’Andrea e Santa Eulalia che presentano cinque consiglieri della città. Il minuzioso ritratto dei consiglieri rivela una straordinaria abilità pittorica che porta a paragonare Dalmau ai grandi maestri della pittura fiamminga. Si pensa infatti che il pittore abbia conosciuto, in un documentato viaggio nelle Fiandre, il noto artista Jan van Eyck, introducendo così in Catalunya la tecnica della pittura ad olio.

 

Arte Rinascimentale e Barocca

La sezione dedicata all’arte rinascimentale e barocca racchiude opere spagnole, italiane e fiamminghe create tra il XVI e il XVIII secolo e provenienti principalmente da collezioni private e dall’importante congiunto di opere della collezione Thyssen-Bornemisza. La rappresentazione artistica varia dal ’400 italiano fino ai grandi maestri del ’500 e importanti opere spagnole create nel Siglo de Oro, in pieno splendore artistico e culturale, fino al Rococò.
È possibile ammirare opere di grande rilevanza internazionale come la Madonna dell’Umiltà di Fra Angelico, la Presentazione di Gesù nel Tempio di Ludovico Carracci, l’Amore Disuguale di Lucas Cranach il Vecchio, il ritratto di Vittoria Colonna attribuito a Sebastiano del Piombo, l’Allegoria dell’Amore di Francisco Goya, Il San Francesco d’Assisi nella la visione del papa Nicola V di Zurabaran, e altrettanto importanti opere di Paolo de San Leocadio, Tiepolo, il Tintoretto, Tiziano ecc.
In una sezione così eterogenea che si sviluppa a rappresentare un lasso di tempo che varia dal primo ’400 fino al ’700 inoltrato, è difficile scegliere un’unica opera imprescindibile e rappresentativa.

 

Arte Moderna

Nella sezione del MNAC dedicata all’arte moderna si trovano opere del neoclassicismo, del modernismo, del realismo e delle prime avanguardie del ’900 create da artisti di importanza internazionale quali Picasso, Gaudí, Dalí, Fortuny e Ramon Casas. Si presenta come un complesso percorso espositivo in grado di svelare l’evoluzione artistico-culturale intrapresa in Catalunya a partire dagli anni ’30 dell’800 con la nascita nel movimento della Renaixença.
Un’evoluzione vissuta in seno allo sviluppo industriale della zona che è sfociata nel caratterizzante movimento denominato modernista.
A cavallo tra l’800 e il ’900 Barcellona si costituiva come meta di molteplici artisti attratti dallo spirito di innovamento che fioriva in città. Non è un caso che lo stesso Picasso abbia eletto Barcellona come sede temporanea prima di raggiungere la più internazionale Parigi.
Da non perdere le opere di Ramon Casas, significativo il famoso autoritratto con Pere Romeu in un Tandem che un tempo decorava le pareti del celebre locale Els Quatre Gats, luogo d’incontro dei più importanti artisti ed intellettuali modernisti catalani.
La sezione di questa collezione dedicata alle avanguardie più moderne comprende alcune opere di Antoni Tàpies, probabilmente il più conosciuto artista contemporaneo catalano e uno dei più importanti esponenti dell’arte informale, purtroppo recentemente scomparso.

 

Stampe e Disegni, Fotografia e Numismatica

Il MNAC racchiude più di 100.000 opere su supporto cartaceo tra disegni stampe e manifesti visibili nella sezione ad essi dedicata che racchiude opere catalane ed internazionali dal XVII secolo fino alle avanguardie moderne.
La collezione di fotografia è composta da 6000 esemplari in grado di rappresentare l’evolversi della visione fotografica dalle origini fino ai giorni nostri.
Gli appassionati di Numismatica potranno ammirare al MNAC la collezione pubblica di monete più importante dell’intera Spagna composta da ben 130.000 pezzi che mostrano l’evoluzione del sistema dei pagamenti nel corso dei secoli.

 

Servizi

Il MNAC ospita anche una biblioteca centenaria dedicata ai professionisti e gli amanti dell’arte che racchiude un fondo bibliografico di assoluto rispetto.
Dopo una visita al museo vi consigliamo vivamente di soffermarvi a godere delle splendide viste che il Palau Nacional offre su tutta Barcellona.
Il Ristorante Òleum, situato nell’antico Salone del Trono, offre un panorama spettacolare e una curata cucina improntata sui sapori del Mediterraneo. Aperto anche la sera fino alle 23:30 consente di osservare da una posizione strategica i bellissimi giochi di luce, acqua, colori e musica creati dallo spettacolo della
Font Magica.
Nella grande Sala Ovale del museo si trova un altro bar ristorante, la Caffetteria Cubic, adatta ad un pasto più frugale.

Orari

Dal martedì al sabato il MNAC è aperto dalle 10 alle 19
La domenica ed i festivi è aperto dalle 10 alle 14.30
Giorni di chiusura:
Tutti i lunedì dell’anno – L’1 gennaio, l’1 maggio e il 25 settembre

martedì 21 febbraio 2012

Intervento di disinfestazione a due capolavori di Beccafumi

La Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici di Siena e Grosseto, dopo un attento monitoraggio della presenza di insetti xilofagi (tarli del legno) su alcune opere della Pinacoteca Nazionale di Siena, effettuato dalla Società Hygien Control, ha deciso di procedere all’intervento di disinfestazione in atmosfera modificata con azoto gassoso dei due dipinti di Domenico Beccafumi, S. Michele scaccia gli angeli ribelli (Inv. 423), cm 367x248, la Discesa di Cristo al limbo (inv. 427), cm 395x255. Si tratta di due grandi pale d’altare, capolavori di uno dei protagonisti della maniera italiana, il pittore senese Domenico Beccafumi, che mostrano l’attacco attivo di lignivori.
Ogni foro provocato dal tarlo in uscita provoca una perdita di film pittorico.

L’intervento della durata complessiva di 45 giorni, comprendenti la realizzazione e la permanenza dei dipinti nella camera in atmosfera modificata e controllata, il trattamento con permetrina dei supporti, lo spostamento delle opere dalla parete, sarà eseguito dalla Hygien Control, e dalla ditta Dafne per quanto riguarda la movimentazione delle pale. La Società, all’avanguardia nella creazione e nell’uso di tecnologie avanzate per la conservazione del patrimonio artistico, messe a punto attraverso studi e sperimentazioni eseguite in collaborazione con l’Opificio delle Pietre Dure, ha trattato con tale metodologia opere d’arte di rilevante interesse storico artistico maturando una vasta esperienza nel settore.




L’intervento di manutenzione sulle due opere è finanziato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali sui fondi dell’anno 2011, direttore dei lavori e responsabile del procedimento la dottoressa Laura Martini. Le operazioni cominceranno il 9 gennaio prossimo e saranno illustrate alla cittadinanza insieme alle nuove tecnologie per la disinfestazione di opere di grande formato il prossimo 23 febbraio alle ore 19,30 nella conferenza mensile del giovedì presso la Pinacoteca Nazionale di Siena, Via San Pietro 29.

L'Oratorio di San Lorenzo a Palermo


Folgorato dall'incontro con questo "gioiello barocco"  lo propongo per il gusto degli occhi ma anche per indicare una prossima meta che merita senz'altro una visita.

L‘oratorio sorse intorno al 1570 ad opera della compagnia di San Francesco sulle spoglie di un’antica chiesetta dedicata a San Lorenzo.
Per questo motivo la dedicazione attuale ricorda entrambi i santi.
Giacomo Serpotta vi intervenne a partire dal 1699 e fino al 1707 circa, con la collaborazione dell’architetto Giacomo Amato, innanzitutto per rinnovare la decorazione del presbiterio che conteneva la famosa Natività con adorazione dei pastori dipinta da Michelangelo Merisi da Caravaggio intorno al 1609.
Il quadro, come è noto, fu trafugato nel 1969.
Terminato l’intervento intorno alla preziosa tela, con uno schema di derivazione prettamente romana e con la realizzazione di due tra i più straordinari angeli che avesse mai realizzato, il Serpotta si dedicò all’aula.

Essa nell’insieme è considerata forse il capolavoro assoluto del maestro palermitano, per la giusta proporzione tra la freschezza inventiva dei primi anni e la sapiente maturità della tecnica esecutiva.
E’ un’opera densa di immagini tra cui i “teatrini” con gli episodi della vita dei Santi Lorenzo e Francesco, a cui sono accostate le statue allegoriche, tra le quali spiccano ai lati del presbiterio, la matronale Ospitalità e la materna Carità.
Tutto l’apparato è ornato da putti che più che in ogni altro oratorio sono scatenati in svariate pose.





Informazioni dettagliate si trovano sui bellisimi siti:


lunedì 20 febbraio 2012

Dall'Archivio Segreto Vaticano al web gli atti del processo a Giordano Bruno

Roma, 17 feb. (Adnkronos) -
In occasione dell'anniversario della morte di Giordano Bruno, arso vivo sul rogo a Campo de' Fiori il 17 febbraio 1600 per le sue convinzioni giudicate eretiche dal Tribunale dell'Inquisizione romana, oggi l'Archivio Segreto Vaticano svela il 17° documento esposto ai Musei Capitolini per la mostra 'Lux in arcana - L'Archivio Segreto Vaticano si rivela', ovvero il Sommario del processo a Giordano Bruno.
Il documento, da oggi online, è eccezionalmente rilevante perché gli atti del processo a carico di Giordano Bruno sono perduti, forse mandati al macero insieme agli altri processi del Sant'Uffizio, prima che gli archivi romani, trasferiti a Parigi per ordine di Napoleone nel 1810, venissero restituiti alla Santa Sede tra il 1815 e il 1817.
Del dossier rimane solo questo sommario, contenente ampi estratti del fascicolo processuale. Grazie alla partnership tecnologica con Accenture (azienda Globale di Management Consulting, Technology and Outsourcing) dal 29 febbraio, data di inaugurazione della mostra, una sofisticata app, sviluppata appositamente per l'Archivio Segreto Vaticano in questa occasione, consentira', ad esempio, di inquadrare con il proprio tablet o smartphone la statua di Giordano Bruno a Campo de' Fiori e vedere nello schermo accendersi il rogo; aprire i documenti collegati al processo del filosofo, rivivere con video ulteriori approfondimenti sulla vita e le idee del frate domenicano.
La mostra 'Lux in arcana - L'Archivio Segreto Vaticano si rivela', ideata in occasione del IV Centenario dalla fondazione dell'Archivio Segreto Vaticano in collaborazione con Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico-Sovraintendenza ai Beni Culturali e Ze'tema Progetto Cultura, a cura di Alessandra Gonzato, Marco Maiorino, Pier Paolo Piergentili e Gianni Venditti, aprira' al pubblico dalle ore 17.30 di mercoledì 29 febbraio. Per il primo giorno i Musei Capitolini prolungheranno l'orario di apertura fino alle ore 21.30. Sarà possibile visitare la mostra fino al 9 settembre 2012. Un evento storico senza precedenti che, per la prima volta, porterà fuori dai confini della Città del Vaticano codici e pergamene, filze, registri e manoscritti, che coprono un arco temporale dall'VIII secolo d. C. fino al XX secolo, scelti fra i tesori che l'Archivio Segreto Vaticano da secoli conserva e protegge.
Il catalogo che accompagna la mostra è edito da Palombi Editori (cm 29,7 x 21, pagine: 224 a colori, euro 14.00) ed ha due versioni, in italiano e in inglese. I documenti fino ad oggi rivelati, sono online sul sito della mostra www.luxinarcana.org insieme con notizie e approfondimenti su personaggi e curiosita' legate all'Archivio Segreto Vaticano.

domenica 19 febbraio 2012

Francesco Mochi scultore barocco

Suggerisco oggi la riscoperta di questo grande scultore attraverso la presentazione di di Stefano Torselli dal sito: http://www.baroque.it


Francesco Mochi, nato a Montevarchi vicino Firenze nel 1580, inizia la sua formazione presso il pittore fiorentino Santi di Tito prima di seguire gli insegnamenti di Camillo Mariani a Roma. L'inquieta fase di trapasso tra preziosismo manieristico e dinamismo barocco è già espressa nelle due affascinanti figure dell’Angelo annunciante e della Vergine annunziata per il Duomo di Orvieto (1603-08).
A Piacenza, dove è attivo dal 1612 al 1630, realizza i monumenti equestri di Ranuccio e Alessandro Farnese che creano un nuovo modello barocco di questo genere di statua.
Nel 1620 viene inaugurato solennemente il monumento a Ranuccio, raffigurato in costume da condottiero romano; la fusione della statua comporta qualche problema al Mochi, che mette a frutto l’acquisita esperienza in quello che è ritenuto il suo capolavoro, il monumento equestre di Alessandro Farnese inaugurato nel 1625.
Sul basamento ornato da putti della statua del celebre condottiero sono raffigurate alcune scene delle guerre combattute da lui nelle Fiandre, tra cui quella con il celebre ponte sul Scheda, presso Anversa.


La sua Santa Veronica nella crociera di San Pietro (1630 circa), realizzata con numerosi blocchi di marmo a causa delle grandi dimensioni, sembra volare fuori dalla nicchia con un movimento irruente mentre la sua veste si gonfia, conferendo alla figura una leggerezza quasi fluttuante. Il moto violento della Veronica solleva il malcontento degli accademici, ma ormai si è aperta una nuova era e il Bernini sta già mettendo il suo genio innovatore al servizio del cardinal Borghese.
Alcuni anni dopo l’artista procede a una revisione del proprio stile, accentuando il dinamismo e le ombre drammatiche. Da annoverare tra i predecessori del Bernini appartenenti al primo Barocco, Mochi riesce a resistere per qualche tempo accanto al grande artista; ma poi si allontana progressivamente dalla “storia della scultura che si svolge nell’opera di Bernini”, come scrive Norbert Huse, secondo il quale “alla fine la particolarità della sua scultura scade nel capriccio di una personalità stravagante”. Da ciò possiamo comprendere quanto l’arte di Bernini sia riuscita a determinare il gusto del Barocco romano. Francesco Mochi muore a Roma nel 1654.

Vincenzo Gonzaga. Il fasto del potere


 
VINCENZO I GONZAGA, splendido principe delle corti d’Europa che portò il ducato di Mantova a diventare un importante centro d’arte e la cui corte si misurava per sfarzo con quelle dei grandi regni europei e italiani.

Al Museo Diocesano ‘Francesco Gonzaga’ di Mantova, che esibisce tutta l’oreficeria superstite dei Gonzaga, l’esposizione dal titolo Il fasto del potere, curata da Paola Venturelli, con la collaborazione del Museo di Palazzo Ducale, presenterà 80 opere - gioielli, dipinti, armature, incisioni, libri, lettere, tessuti - molte delle quali inedite o note solo agli specialisti, che offriranno la percezione di un’età incomparabile, riassunta in un uomo che segnò per l’Europa intera l’apice della magnificenza.

Il percorso espositivo avrà una preziosa appendice nella reggia di Palazzo Ducale che, per l’occasione, aprirà tutti gli ambienti dell’appartamento di Vincenzo.

Vincenzo I Gonzaga (Mantova, 1562-1612) era legato da parentela o da altri vincoli alle maggiori corti del continente. Filippo II di Spagna lo insignì del Toson d’oro, il papa Paolo V elesse suo figlio Ferdinando cardinale, il re di Francia Enrico IV era suo cognato, sua moglie Eleonora de’ Medici, sua sorella Margherita divenne duchessa di Ferrara, la nuora Margherita di Savoia, la figlia Margherita divenne duchessa di Lorena, sua madre Eleonora era figlia dell’imperatore, e un’altra sua figlia Eleonora sposò l’imperatore Ferdinando II. Quanto a lui, egli cinse una duplice corona ducale, di Mantova e del Monferrato. Pur signore di uno stato di limitata estensione e di modeste risorse, volle dimostrare di non essere da meno di un re, e anzi di distinguersi dai suoi presunti pari per singolarità di iniziative (talora sino alla stravaganza), larghezza di mezzi (regalmente ignorando i vincoli di bilancio), inesausto appagamento delle proprie passioni (gli amori, le feste e il gioco d’azzardo).

La mostra evocherà i fasti di un personaggio così esuberante attraverso capolavori di grande qualità, come i ritratti. Particolarmente interessante è il raffronto tra quelli del padre, il duca Guglielmo, presente con un inedito e con il ritratto ufficiale, e quelli di Vincenzo, che misurano il repentino passaggio da un’epoca di austerità a una di appariscente grandeur. Se da un lato il padre si volle rappresentato vestito di nero in un modesto interno, il figlio appare già subito, nel ritratto dell’incoronazione, ammantato di ermellino, con scettro e corona, mentre in altri successivi volle esibire di sé, nell’abbigliamento, nelle insegne e negli ornamenti, le virtù guerresche, la raffinatezza, i titoli di gloria. Elementi suggeriti anche da un’armatura brunita con borchie d’oro che si vuole appartenuta a lui, monete e medaglie da lui coniate, un vessillo militare, un piatto su cui compaiono congiunti lo stemma Gonzaga e quello de’ Medici, memoria delle nozze con Eleonora.

Non mancheranno inoltre tele che ricorderanno l’apporto di Vincenzo al museo di famiglia, la celebre “celeste Galeria”.

Molto ricca è anche la sezione documentaria, con libri, disegni, manoscritti e stampe dell’epoca che riporteranno alla memoria le feste, le musiche e i testi teatrali composti per lui, le mappe e i volumi sulle glorie del casato, le figure degli illustri personaggi che frequentavano la corte.
Una documentazione particolare si occuperà di un’impresa che Vincenzo vantò forse più di tutte, tanto da non esitare a mettersi in concorrenza con il re di Spagna che conferiva l’onorificenza del Toson d’oro. In occasione delle nozze del primogenito, il duca di Mantova istituì l’ordine cavalleresco che intitolò al Redentore, in rapporto con l’eminente reliquia venerata a Mantova, denominata del Preziosissimo Sangue di Gesù. Di quest’ultima verrà esposto il reliquiario d’oro - per l’occasione integrato delle componenti solitamente custodite a parte - che i Gonzaga trattenevano presso di sé, nella basilica palatina. Al suo fianco, verranno presentati gli stemmi di alcuni cavalieri, nonché un disegno e un dipinto raffigurante, in tutta la sua sontuosità, il collare d’oro, insegna dell’ordine.

Nulla però può dare la percezione del fasto di cui si circondò il duca Vincenzo meglio dei capolavori di oreficeria da lui acquisiti. In mostra saranno raccolti tutti quelli superstiti, salvatisi da dispersioni e saccheggi. Tra questi, la monumentale croce donatagli dal papa Clemente VIII, che con esuberanza di forme e singolarità dei materiali unifica scultura, pittura e architettura. O ancora, la grande urna in ebano di Santa Barbara, minuziosamente decorata in oro all’interno e all’esterno, che presenta grandi specchiature e raffinate colonnine tortili all’apparenza di vetro, in realtà di quarzo.
E tra le altre opere, lo splendido pendente donatogli per il battesimo, un trionfo di oro, gemme e smalti, impiegati a profusione ma in calcolato rapporto con un chiaro messaggio di professione di fede. Se infatti, la scena biblica dell’adorazione del vitello d’oro - simbolo della falsa fede - è raffigurata nella piatta faccia posteriore, destinata a restare nascosta, quella che dimostra la fede autentica è riassunta a rilievo nella faccia da esibire, con il monogramma del Redentore scritto in diamanti.


Il duca di Mantova fu un uomo la cui prodigalità rasentava l’incredibile: è stato calcolato che nei suoi venticinque anni di regno sia riuscito a spendere oltre venti milioni di scudi, dieci volte di più di quanto il padre, il duca Guglielmo, gli lasciò in eredità.
Questi soldi, tuttavia, non furono solamente dilapidati. Con essi, arricchì la reggia di bellissimi ambienti, di un teatro, di uno scientifico “giardino dei Semplici”, di opere d’arte con cui incrementò i tesori della “celeste Galeria”; fece scavare l’immensa cripta dell’albertiana basilica di Sant’Andrea e costruire la raffinata palazzina di caccia di Bosco Fontana e l’imponente cittadella di Casale Monferrato. Ebbe al proprio servizio Peter Paul Rubens, che a Mantova diede la prima misura del suo genio; ospitò a corte, liberandolo dal carcere di Ferrara, Torquato Tasso, e con lui, tra i tanti attori cantanti musici e scrittori, anche Claudio Monteverdi, il quale, proprio per Vincenzo, scrisse l’Orfeo, dando inizio alla storia del melodramma.

Accompagna la mostra, una serie di iniziative collaterali: conferenze, visite guidate, concerti, cene a tema contribuiranno a immergere il visitatore nelle atmosfere di corte dei Gonzaga.
 
Informazioni dettagliate sulla mostra: http://www.vincenzogonzaga.it/