testo -->

lunedì 28 settembre 2015

A LUCCA I MANOSCRITTI DEL IX SECOLO RESTAURATI


La storia del Medioevo si rivive a Lucca, attraverso 26 manoscritti restaurati dalla Soprintendenza Archivistica della Regione Toscana e che saranno visitabili nella Sala studio dell'Archivio Storico Diocesano dal 30 settembre al 30 ottobre 2015. 
L'esposizione - dal titolo "Restaurare la memoria. Interventi conservativi sulle pergamene dell’Archivio Storico Diocesano” - è una tra le più complete per ricchezza e antichità di documenti non solo a livello nazionale ma anche europeo e vanta, tra gli altri, il riconoscimento ufficiale dell’Unesco.
L'opera di recupero dei testi - realizzata in collaborazione con il Laboratorio di restauro “Philobiblion” di Firenze - si è concentrata sulle pergamene del IX secolo conservate nel Fondo Diplomatico Arcivescovile dell’Archivio. La realizzazione del progetto è stata resa possibile grazie al finanziamento della Fondazione Banca del Monte di Lucca.
“Il restauro è un momento qualificante nella vita di un Archivio - ha sottolineato Gabriela Todros della Soprintendenza Archivistica della Toscana - un’operazione fondamentale non solo per la tutela e la salvaguardia, ma anche e soprattutto per la buona conservazione del materiale documentario. Fattori esterni, usura ed incuria dell’uomo hanno spesso condotto il supporto scrittorio, cartaceo o pergamenaceo, al deterioramento, e solo grazie a lunghi e delicati interventi è possibile porre rimedio al degrado. Da anni ormai la Soprintendenza Archivistica della Toscana e la Curia Arcivescovile di Lucca collaborano per il recupero di un patrimonio documentario unico ed insostituibile, e la mostra che si inaugurerà a breve ne è il più che soddisfacente risultato”.
I documenti restaurati, ad oggi, sono 26 e risalgono all’ultimo trentennio del IX secolo. 
Le 18 pergamene che saranno in esposizione contengono livelli, permute e promesse che coinvolgono a diverso titolo membri della Chiesa lucchese di quel periodo. I testi sono stati classificati in tre categorie di criticità (gravi, mediocri, discrete) a seconda dello stato di conservazione e quindi definendo per ognuna l’urgenza di intervento. 
Un primo progetto è stato redatto direttamente dalla Soprintendenza, con l’ausilio del restauratore Claudius Schettino e del personale dell’Archivio stesso, che conserva - oltre ai documenti restaurati - anche manoscritti risalenti al settimo secolo dopo Cristo: il più antico documento conservato, infatti, è datato 685.

La mostra, ad ingresso libero, nelle Sale dell’Archivio Storico Diocesano, sarà aperta tutti i lunedì-mercoledì-venerdì dalle 9.30 alle 12.30 da mercoledì 30 settembre fino a venerdì 30 ottobre.

I gioielli italiani di El Greco a Treviso


Saranno una trentina le opere di Domenikos Theotokopoulos, detto El Greco, a rendere omaggio al periodo italiano del genio del ‘500, mettendo in scena a Treviso la più grande retrospettiva mai organizzata prima sul periodo giovanile dell’artista, intitolata 'El Greco in Italia. 
Metamorfosi di un Genio' (dal 24 ottobre prossimo al 10 aprile 2016 a Casa dei Carraresi). Molte di queste saranno esposte in Italia per la prima volta, accompagnate da altrettanti capolavori di grandi artisti che influenzarono il suo lavoro, o ne furono a loro volta influenzati, da Tiziano a Picasso, da Parmigianino a Bacon.
Fra le opere di El Greco esposte ci sarà il 'San Demetrio' (ante 1567), da collezione privata. 
La mirabile icona, di recente scoperta e attribuzione a El Greco, è testimonianza della prima attività del pittore in obbedienza ai principi della 'maniera greca', e viene esposto per la prima volta non solo al grande pubblico, ma anche alla comunità degli studiosi. Proveniente dalla Galleria estense di Modena ci sarà poi l'altarolo (1567-1568 circa), opera chiave per la ricostruzione dell’attività de El Greco in Italia, che rappresenta l’irreversibilità della scelta della 'maniera moderna' da parte di un pittore formato nell’ambito delle derive della cultura bizantina. 
Fu rintracciata e pubblicata dal grande storico dell’arte Rodolfo Pallucchini nel 1937.
Altra chicca l''Adorazione dei Pastori' (1568-1569 circa), dal danese J.F. Willumsens Museum. 
L'opera appartiene agli anni del soggiorno romano, con la presenza di suggestioni derivate dalla frequentazione del circolo artistico gravitante intorno alla figura del Cardinale Alessandro Farnese, e fu recuperata e pubblicata dal primo grande studioso del periodo italiano di El Greco, Jens Ferdinand Willumsen. 
La 'Guarigione del Cieco' (1573 circa), proveniente dalla Galleria Nazionale di Parma, offre sullo sfondo tracce del soggiorno romano, dove El Greco rappresenta le terme di Diocleziano; inoltre, sulla sinistra, si possono scorgere i ritratti di Alessandro Farnese Junior e Juan de Austria, eroi dell’impresa di Lepanto legati al pittore da un rapporto di buona conoscenza, se non proprio di amicizia. 
Da una collezione privata proviene la 'Crocifissione' (1575-1577 circa), per la prima volta in mostra in Italia, risalente all’ultimo periodo del soggiorno di El Greco nel nostro Paese, parte del gruppo in mostra dedicato alla rappresentazione del tema del Crocifisso sulla lezione di Michelangelo.
Dedicata al decennio 1567-1576, il periodo che l’artista trascorse in Italia, la mostra racconterà, attraverso spunti scientifici inediti, come il 'viaggio' nel nostro Paese abbia plasmato l’artista al punto tale da trasformarlo da iconografo del mondo ortodosso a genio visionario. 
L'allestimento si pone come coronamento delle mostre che hanno celebrato il quarto centenario della morte dell’artista (Toledo, 1614) in Grecia e in Spagna, rispettivamente suo Paese di nascita e di adozione. 
Patrocinata dalla Regione Veneto, dalla Provincia di Treviso e dal Comune di Treviso, grazie ai suoi straordinari contenuti artistici la mostra ha ricevuto anche il patrocinio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, che ne ha riconosciuto l’importanza, in collaborazione con il Polo Museale del Veneto. 
Il progetto ha inoltre potuto contare sul supporto di prestigiosi istituzioni museali e collezioni private di tutto il mondo, tra cui le Gallerie dell’Accademia di Venezia, la Galleria Estense di Modena, la Galleria Nazionale di Parma, il J.F. Willumsens Museum in Danimarca, la Maison d'Art di Montecarlo, la Galleria Parmeggiani di Reggio Emilia, il Museo di Capodimonte di Napoli, la Pinacoteca di Bologna, la Schorr Collection di Londra, The Velimezis Collection di Atene, solo per citarne alcuni.
Organizzata da Kornice, di Andrea Brunello, con la collaborazione di Fondazione Cassamarca, la mostra nasce da un importante progetto scientifico che si basa su oltre mezzo secolo di studi del suo curatore, Lionello Puppi, emerito di Ca’ Foscari, uno dei maggiori studiosi al mondo de El Greco e massimo esperto del suo periodo giovanile, coadiuvato da un Comitato Scientifico internazionale composto da studiosi di prestigiose realtà accademiche: Serena Baccaglini, Alessandra Bigi, Nano Chatzidakis, Agnese Chiari Moretti Wiel, Robin Cormack, Andrea Donati, Mariella Lobefaro, Maria Paphiti, Paula Revenga Dominguez. Il percorso espositivo, suddiviso in quattro macro sezioni, coinvolgerà il pubblico in un viaggio sulle tracce dell’attività dell’artista tra Venezia, Roma e l’Italia centrale, dove El Greco ebbe modo di entrare in contatto diretto con la coeva arte di Tiziano, Bassano e Tintoretto, artisti che influenzarono profondamente la sua opera.
La prima parte introdurrà il visitatore attraverso un video emozionale che racconterà l'artista e gli aneddoti legati alla sua personalità carismatica e alla sua vita avventurosa; la seconda è dedicata a Creta, l’isola in cui è nato, all’epoca territorio veneziano, e al linguaggio della tradizionale icona bizantina che ha contraddistinto i suoi primi anni come artista; la terza parte, quella centrale e dominante della mostra, metterà a confronto le principali opere del periodo italiano con quelle di artisti che hanno fortemente influenzato il suo lavoro. 
Tra i capolavori offerti per il confronto il 'San Francesco Riceve le Stimmate' di Tiziano (1525 circa), la 'Madonna di San Zaccaria' del Parmigianino (1530-1533 circa), l’'Allegoria della Battaglia di Lepanto' del Veronese (1572-1573 circa) e l’'Allegoria del Fuoco' del Bassano (1580 circa).
La parte finale sarà dedicata alle influenze che El Greco ha esercitato sugli artisti delle avanguardie del ‘900, tra cui geni del calibro di Pablo Picasso e Francis Bacon. 
Saranno infatti in mostra i capolavori di questi artisti, regalando così al visitatore un viaggio tra l’arte rinascimentale e moderna che rivelerà, inequivocabilmente, come i colori acidi, il movimento ascensionale delle figure, l’impressionante rappresentazione psicologica dei ritratti, gli sprazzi di luce rubati alle tenebre tipici de El Greco abbiano incantato molti artisti famosi, secoli dopo la morte del Maestro, al punto tale da renderlo uno degli artisti più imitati al mondo. 
In occasione della mostra, Casa dei Carraresi, centro congressi ed esposizioni di Fondazione Cassamarca, ha riportato alla luce le sale dei Brittoni con i loro meravigliosi affreschi che saranno riaperte al pubblico. Nell’attesa della pubblicazione del catalogo della mostra, edito da Skira, aneddoti, curiosità sull’artista e il backstage della preparazione della mostra si possono seguire sulla pagina Facebook Mostre-Treviso e i profili Twitter e Instagram.

sabato 26 settembre 2015

Pompei prima dei romani, scoperta tomba sannita intatta



Una tomba a cassa di età sannitica risalente al IV secolo avanti Cristo è venuta alla luce nella Necropoli di Porta Ercolano all'interno degli scavi archeologici di Pompei. 
Il ritrovamento, fa sapere la Soprintendenza, è avvenuto nell'ambito degli scavi realizzati in collaborazione con l'equipe francese del Centro Jean Berard di Napoli e rappresenta "una delle rarissime testimonianze funerarie di età preromana, con corredo funerario completo".
Le nuove scoperte saranno ufficialmente presentate lunedì, alle ore 11, proprio sul sito, dal soprintendente Massimo Osanna, dalla direttrice del Centro Jean Berard di Napoli, Claude Pouzadoux, e dagli archeologi impegnati sul campo.

venerdì 25 settembre 2015

JEFF KOONS IN FLORENCE

Risultati immagini per JEFF KOONS IN FLORENCE

COMUNICATO STAMPA: Firenze, 25 settembre 2015, per la prima volta, dopo circa cinquecento anni dalla messa in posa dell’Ercole e Caco di Baccio Bandinelli (1493-1560), una scultura originale di grandi dimensioni sarà collocata sull’arengario di Palazzo Vecchio. 
Si tratta di Pluto and Proserpina di Jeff Koons (1955), un'opera monumentale alta più di tre metri. 
Un evento eccezionale che inaugura il progetto In Florence, un programma ambizioso e innovativo che vede i protagonisti dell’arte del nostro tempo confrontarsi con gli spazi e le opere del Rinascimento fiorentino.

Jeff Koons In Florence è la mostra più attesa dell’anno: un confronto tra la provocante bellezza delle opere del geniale artista americano e i capolavori senza tempo di Donatello (1386-1466) e Michelangelo (1475-1564). I luoghi eletti del "dialogo” saranno la Sala dei Gigli in Palazzo Vecchio e Piazza della Signoria.  
La mostra,  organizzata da Associazione Mus.e e a cura di Sergio Risaliti, è realizzata grazie alle relazioni e al generoso contributo di Fabrizio Moretti, nuovo mecenate per l’arte contemporanea e per Firenze, già noto a livello internazionale come mercante d’arte antica. 

A Palazzo Vecchio sarà esposta Gazing Ball (Barberini Faun), opera realizzata nel 2013 appartenente alla serie denominata dall’artista Gazing Ball,  calchi in gesso di celebri sculture del periodo greco-romano cui l’artista ha aggiunto, in posizione di precario equilibrio, una sfera di colore azzurro brillante e dalla superficie specchiante. Un raffinato e attraente gesto concettuale per ribaltare e deviare lo sguardo dello spettatore dall’ammirazione dell’opera classica, quale immagine memorabile di pura perfezione, alla totalità dello spazio ambientale, in cui si riconoscono anche gli osservatori e i vari elementi che caratterizzano il contesto espositivo. Un lavoro che insiste sulla seduzione del calco in gesso, così puro, leggero, impalpabile, e la magia disorientante della sfera azzurra con la sua superficie riflettente come uno specchio. 
L’antico Fauno Barberini ( “Uno fauno a sedere più grande del naturale quale sta dormendo e tiene un braccio in testa”, Archivio Barberini, Roma, 1632) è una scultura di età imperiale - ispirata probabilmente a un opera in bronzo di epoca tardo-ellenistica.  Rinvenuto a Roma nei fossati di Castel Sant’Angelo intorno al 1624, il  marmo entrò nella collezione del Cardinale Francesco Barberini nel 1628,  per poi arrivare in Germania agli inizi dell’Ottocento, dove è conservato presso la Gliptoteca di Monaco. Alcuni restauri della scultura furono eseguiti, già all’epoca del rinvenimento, dalla bottega di Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) o da lui medesimo.
Koons spiega in questi termini il senso del suo lavoro: “Ho pensato a Gazing Ball guardando per molti anni sfere di questo genere. Ho voluto affermare la perentorietà e la generosità della superficie specchiante e la gioia che scatenano sfere come queste. La serie Gazing Ball si basa sulla trascendenza. La consapevolezza della propria mortalità è un pensiero astratto, e a partire da questa scoperta uno inizia ad avere coscienza maggiore del mondo esterno, della propria famiglia, della comunità, può instaurare un dialogo più vasto con l'umanità al di là del presente”.
La sfera deve essere letta  come simbolo o archetipo della perfezione del cosmo, dell’Uno, dell’infinito e dell’eterno - come nel Timeo di Platone -, ma tale idealità  è contraddetta dalla posizione arrischiata in cui l’oggetto sferico si trova, posto com'è sulla coscia sinistra del giovane Fauno, nonché dalla superficie che riflette il transeunte, il molteplice, il mondo della vita.
Gazing Ball prende il nome dalle sfere specchianti, scoperte tante volte da Koons nella casa d'infanzia in Pennsylvania: ammalianti, incantevoli oggetti ornamentali prodotti per la prima volta a Venezia nel tredicesimo secolo, divenuti poi famosi nel diciannovesimo secolo durante il regno di Ludovico II di Baviera che li usava per decorare i giardini dei suoi palazzi, quindi arrivati in Pennsylvania attraverso gli Europei. Il potere incantatorio di questi oggetti risiede nel fatto che a chi guarda ad essi viene concessa la possibilità di vedere dietro le proprie spalle e fino agli angoli più lontani, con effetto panottico e anamorfico, assorbendo all’interno della stessa superficie il proprio riflesso e ogni altro elemento intorno al proprio corpo. Forme affascinanti, magiche, piacevoli anche per la loro leggerezza (si tratta di sfere di vetro soffiato) e per la loro associazione con il gioco infantile. Data la loro estrema fragilità sono anche associate all'effimera durata della vita umana – così come le bolle di sapone cui spesse volte vengono associate. Ecco perché la sfera, simbolo di perfezione, spesse volte è associata al tema della malinconia, stato d'animo provocato dal confronto dell'animo umano con l'incommensurabile.  Come afferma Koons: "La serie denominata Gazing Ball  ha alla base lo “sguardo del filosofo” che giunge alla trascendenza attraverso i sensi  per poi dirigere la nostra visione verso l’eternità tramite la pura forma e l’idea”.
La scelta di installare il Fauno nella Sala dei Gigli, fastoso ambiente, decorato con pregevoli affreschi di Domenico Ghirlandaio (1449-1494), e una finta tappezzeria impreziosita dalla presenza di gigli d'oro -emblema angioino in campo azzurro- nasce dalla volontà di creare un dialogo tra il linguaggio rinascimentale e quello contemporaneo. La sala ospita anche l’originale in bronzo della Giuditta e Oloferne (1457 circa) di Donatello, una delle sculture più fascinose e significative del Quattrocento italiano. Di fronte al capolavoro donatelliano - Giuditta implacabile punitrice di Oloferne, intorpidito dalla bellezza virginale della giovane eroina, poi fiaccato dal vino, infine decapitato - il Fauno Barberini -nella versione rivisitata di Koons- si presenterà al pubblico ancora nella sua provocante posa, esempio di una bellezza non volgare, sebbene spinta al limite dell’osceno. La plateale esibizione del nudo, con i genitali in bella mostra, la posa sensuale, indice di una potenza sessuale selvaggia sembrerà provocare la stessa Giuditta, punitrice degli eccessi libidinosi, della perdizione sessuale, come simboleggiano i baccanali scolpiti a bassorilievo nel basamento. La sfera specchiante e di colore azzurro entrerà, altresì, in rapporto con l'effige in bronzo, e poi con il contesto decorativo della sala, con le sue dominanti cromatiche e il prezioso soffitto ligneo. Contrasti esaltati dall'operazione eseguita da Koons che affronta il quotidiano e l'eterno, la bellezza classica e l'estetica di massa, la sfera del mito e quella della mondanità, l'infanzia e la storia, Eros e Thanatos, mentre l'ambivalenza tra equilibrio e instabilità, originale e copia, oggetto artistico e merce, invita a riflettere anche sul rapporto tra immaginazione e serialità, tra metafisica e basso materialismo, tra stupore e mistificazione. Infine quello tra immagini classiche e simulacri post-moderni.    
  
Altre relazioni, altri significati emergeranno in Piazza della Signoria dove, a poca distanza dalla copia in marmo del David di Michelangelo, sarà esposta una delle più celebri sculture di Jeff Koons, Pluto and Proserpina (2010-2013), un’opera monumentale, alta più di tre metri, in acciaio inox, lucidata a specchio e con una cromatura in color oro. Le due figure di Plutone e Proserpina, avvinghiate in un abbraccio drammatico e sensuale, scintilleranno alla luce del giorno e, illuminate durante la notte, strideranno in contrasto con le sculture in marmo e bronzo della piazza. Abbagliante presenza, l’opera di Koons, catturerà lo sguardo dei cittadini e  dei turisti, unico originale tra le copie del David e della Giuditta sull’arengario. La superficie specchiante dell'opera di Koons funzionerà in modo da assorbire, catturare e liquefare tutto lo spazio circostante, con effetti di splendore abbacinante e di virtuosistica defigurazione. Le stesse forme del dio dell'Averno, quelle della sua futura sposa - Persefone per i greci- sembreranno liquefarsi in una materia fluida, quasi gelatinosa, fortemente sensuale, al limite della dissoluzione figurativa, con il risultato di disperdere i connotati iconografici, quindi il presupposto mitologico dell’immagine, assieme all’originale morfologia barocca di cui l’opera di Koons è in qualche modo una libera riproduzione. In effetti, Pluto and Proserpina di Koons s’ispira a una celebre opera di Gian Lorenzo Bernini, il Ratto di Proserpina (225 cm, base 109 cm), commissionata all’artista dal Cardinale Scipione Caffarelli Borghese ed eseguita tra il 1621 e il 1622, quando Bernini aveva di poco superato i vent’anni. Nei documenti dell'epoca il gruppo viene descritto in questi termini: “Una Proserpina di marmo che un Plutone la porta via alto palmi 12 in circa et un can trifauce con piedistallo di marmo con alcuni versi di faccia”. Alla base della scultura era stato apposto, infatti, un testo poetico dedicato all’opera del Bernini, adattamento di un distico composto dal cardinale Maffeo Barberini, poi papa Urbano VIII, impressionato dalla bellezza del marmo. Nei Dodici distichi per una Galleria, illustra, con epigrammi e brevi descrizioni, dodici quadri di una galleria immaginaria si legge: "Quisquis humi pronus flores legis, inspice saevi / me Ditis ad domum rapi". Per questo il punto di vista privilegiato deve essere considerato quello frontale, visto che qui si trovava l’iscrizione di Maffeo Barberini. Guardando la scultura di Bernini, scopriamo, infatti, che Plutone ha già lasciato cadere a terra il suo scettro bidentato per agguantare con vigore la giovane che innalza la mano destra al cielo con un gesto di lamento, supplicando aiuto e rimarcando a questo modo con virtuoso effetto quell’ “inspice me” al centro dei versi.
Per meglio comprendere il soggetto, dobbiamo rileggere le Metamorfosi di Ovidio, laddove viene descritto il momento in cui il dio degli inferi aggredisce la figlia di Cerere, intenta a raccogliere fiori in un boschetto nei pressi di un lago. La dea "si stava divertendo a cogliere viole e candidi gigli, ne riempiva con fanciullesco zelo dei cestelli e i lembi della veste, gareggiando con le compagne a chi più ne coglieva, quando in un lampo Plutone la vide, se ne invaghì e la rapì: tanto precipitosa fu quella passione. Atterrita la dea invocava con voce accorata la madre e le compagne, ma più la madre; e poiché aveva strappato il lembo inferiore della veste, questa s'allentò e i fiori raccolti caddero a terra: tanto era il candore di quella giovane, che nel suo cuore di vergine anche la perdita dei fiori le causò dolore". La mitica vicenda, secondo gli studiosi, si ricollega all’alternarsi delle stagioni: al freddo e al gelo dell'inverno, alla rinascita primaverile. Plutone, infatti, nella tradizione letteraria viene spesse volte descritto come immagine del Sole. Nel trattato Imagini di Vincenzo Cartari (1531ca.- post 1571), ad esempio, testo indispensabile per l'iconografia rinascimentale, si trova scritto: “[…] fu finto che Plutone, intendendo per lui il Sole, la rapì, e portossela in inferno, perche il calore del Sole nodrisce, e conserva sotto terra tutto il tempo dell'inverno il seminato grano". Secondo Varrone, citato da Sant’Agostino, il nome Proserpina verrebbe addirittura da proserpere, che simboleggia lo “sgusciare fuori” del seme dalla terra. Nel marmo di Bernini, Proserpina, bella come la Venere di Prassitele, sta lottando invano per la sua verginità. Grida, spalancando la bocca, invoca la madre e le compagne. Nello sguardo di lei si leggono: vergogna per la sua nudità offesa,  paura nei confronti della furia erotica di Plutone e commovente disperazione, perché tra pochissimo la ragazza conoscerà l'oscurità dell'Ade. I versi di Ovidio spiegano inoltre  la presenza di mazzi di fiori freschi aggiunti, da Jeff Koons, con precisione filologica, alla sua nuova scultura in acciaio inox, che, a differenza di Bernini, ad esempio, omette la figura del cane Cerbero. Opera monumentale, ricordiamolo,Pluto and Proserpina verrà esposta dal 25 settembre sull’arengario di Palazzo Vecchio a poca distanza dalla copia del David, simbolo universale del rinascimento fiorentino, tanto quanto la Primavera del Botticelli agli Uffizi. 
In tale posizione, si esplicita una diversa e più sottile relazione tra Pluto and Proserpina di Koons e il contesto espositivo di Piazza Signoria, con la sua sfilata di mirabili sculture. Il senso dell'arte, della bellezza e dell'amore come continua rinascita, come sublimazione del dolore e come superamento della morte (anche della morte dell'arte). Infatti, nel mito di “Plutone e Proserpina” la potenza ctonia di eros che può essere seminatrice di morte e di violenza - sia spirituale sia materiale - è contraddetta dalla forza generatrice della bellezza e dell'amore, dalla funzione vitale e solare dell'unione di maschile e femminile, così come di storia e immaginazione. La speciale collocazione di Pluto and Proserpina di Koons è stata pensata anche per esaltare la peculiare somiglianza di quest'opera  con il Ratto delle Sabine del Giambologna (1529-1608) - posto sotto la Loggia dei Lanzi- e con il Genio della Vittoria del Buonarroti -conservato nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, massimi esempi di una soluzione spiraliforme del movimento nei corpi; suggerendoci inoltre che Bernini deve molto all’arte del cinquecento nella sua prodigiosa invenzione del Ratto di Proserpina. Secondo la critica, Gian Lorenzo Bernini, avrebbe, infatti, prima studiato l'Ercole e Anteo del Giambologna, per poi prendere spunto dall'opera del toscano Pietro da Barga (documentato da 1574 al 1588), autore di un bronzo di stesso soggetto -oggi conservato al Museo Nazionale del Bargello- forse ispirato ad un brano di Plinio, che nella Naturalis Historia, (XXXIV, 69) descrive un gruppo bronzeo di mano di Prassitele, avente a oggetto proprio il “Raptus Proserpinae”, così come ad un bronzo di Vincenzo de' Rossi (1525-1587), fuso nel 1565 circa.
Ecco dunque che l'esposizione Jeff Koons In Florence si presenta come un gioioso e raffinato gioco di citazioni e di rinvii, di contrasti e di confronti tra antico e contemporaneo, dove la superficie scintillante nasconde il senso oscuro e magico della creazione in funzione anche apotropaica.
La mostra, visibile dal 26 settembre al 28 dicembre 2015, nasce da una proposta di Fabrizio Moretti ed è curata da Sergio Risaliti.Promossa dal Comune di Firenze, è organizzata da Mus.e con il contributo della Camera di Commercio, della Galleria Moretti e da David Zwirner con la collaborazione della Biennale Internazionale di Antiquariato di Firenze.

TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39 055 276 8531

'Invito a Palazzo', le banche mostrano i loro tesori nascosti


Opere d'arte e capolavori d'architettura di solito nascosti al grande pubblico e custoditi nei palazzi e nelle sedi storiche delle banche italiane tornano a essere svelati il 3 ottobre, quando le porte di 108 palazzi di banche, e per la prima volta, di fondazioni di origine bancaria e della Banca d'Italia, apriranno le loro porte nella 14esima edizione di 'Invito a Palazzo'. 
La manifestazione, a ingresso gratuito, è promossa dall'Abi, che ogni anno, per un'intera giornata (dalle 10 alle 19) mette in mostra i 'tesori nascosti' delle storiche sedi bancarie di tutta Italia.
Tante le novità di questa edizione, che coinvolgerà 50 banche e 20 Fondazioni in 55 città e 16 regioni italiane, oltre a soggetti filantropici e non profit, particolarmente attivi nei territori sul fronte dell'arte, della cultura e del welfare. 
"Quest'anno sono tanti gli elementi innovativi, come la collaborazione con l'Acri, l'Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio Spa - dice il presidente dell'Abi, Antonio Patuelli - o ancora la partecipazione della Banca d'Italia, che aprirà Palazzo Koch a Roma e Palazzo De Gaetani, la sede di Genova".
"'Invito a Palazzo' si conferma capace di rinnovarsi e di coinvolgere ogni anno su tutto il territorio nazionale decine di migliaia di cittadini italiani e turisti stranieri - continua Patuelli - E' una manifestazione che ha un grande respiro europeo e internazionale. Tra gli elementi rilevanti, quest'anno, anche la partecipazione di 26 palazzi storici che per la prima volta apriranno le loro porte come la filiale del Banco di Desio e della Brianza di Bologna, villa classica dei primi del '900 in stile liberty, e il Palazzo del Comandante, sede della Cassa di Risparmio di Fossan, o ancora il cosiddetto 'palazzo d'oro', Palazzo Contarini, sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone".
"Il nostro Paese ci ha dato un grande dono - afferma il presidente dell'Acri, Giuseppe Guzzetti - con un patrimonio artistico e paesaggistico immenso, che merita di essere conosciuto dal pubblico. Abbiamo il dovere di valorizzare e salvaguardare questo immenso patrimonio, e aprire i palazzi sabato 3 ottobre vuole essere un'occasione unica per mostrare tutti i tesori che essi contengono".
"Questa è un'iniziativa culturalmente importante per molte ragioni - spiega Ilaria Borletti Buitoni, sottosegretario al ministero dei Beni Culturali e del Turismo - fa scoprire esempi del nostro patrimonio culturale estremamente importanti, che di solito non sono accessibili al pubblico, aprendo al mondo la scoperta di beni che di solito sarebbero dimenticati".

mercoledì 23 settembre 2015

Franceschini: "Nasce il cammino della via Appia"

Risultati immagini per Franceschini: "Nasce il cammino della via Appia"

''Il cammino dell'Appia è un grande progetto nazionale su cui stiamo lavorando. Ho già sentito i presidenti delle quattro regioni attraversate dall'Appia e il 14 ottobre ci incontreremo sulla base delle norme dell'art bonus che ci consente di dare unità di gestione ai progetti che attraversano più regioni ''
Lo ha detto il ministro dei Beni culturali e del Turismo, Dario Franceschini, intervenendo oggi, presso il complesso di Capo di Bove a Roma alla presentazione del Cammino dell'Appia 'Regina Viarum' che prevede la valorizzazione dell'antico tracciato che collegava Roma con Brindisi. 
''La via Appia -ha proseguito Franceschini- unisce territori in cui non arrivano turisti stranieri, rivaluta il Mezzogiorno e recupera un patrimonio archeologico unico. Crediamo nel tema dei percorsi sia sotto il profilo del turismo sostenibile e lento sia sotto il profilo della rivalutazione dei luoghi meno conosciuti. Stiamo investendo -ha concluso Franceschini- nel Mezzogiorno e la via Appia tiene insieme tutte queste cose. 
E' un percorso che unisce, da riscoprire''.
Il progetto della Via Appia prevede la valorizzazione e la tutela dell'antico tracciato. 
Nel dettaglio, la prima fase del piano ha l'obiettivo di individuare le opere necessarie per consegnare il cammino della Regina Viarum alla piena fruizione turistica. 
Il progetto, come ha sottolineato il segretario generale del Mibact, Antonia Pasqua Recchia, si basa sul "rammendo di pezzi di territorio e paesaggi straordinari" e sul recupero "di paesaggi brutti che vanno riqualificati e ricondotti ad una fruizione culturale, turistica che genera anche un aumento della coscienza civica e della partecipazione"
I punti essenziali del recupero della Via Appia, ha detto il segretario generale del Mibact, sono essenzialmente due. 
Si interverrà "lungo questo percorso. Non sono necessari grandi interventi ma azioni concordate che riguardano la segnaletica, la messa in sicurezza, la ricucitura dei tratti antichi non più percorribili perché sovrastati dal tracciato moderno"
Accanto a quest'opera di riqualificazione c'è inoltre, ha spiegato Recchia, "l'intervento massivo, che richiede risorse importanti, sui grandi attrattori dell'Appia, dal basso Lazio in poi". Monumenti che, in alcuni casi, "sono dell'età successiva alla realizzazione dell'Appia. Penso all'intervento che faremo su Capua, che non riguarderà soltanto l'Anfiteatro Campano, ma anche il Castello di Carlo V".
Intorno al progetto, inoltre, verrà messa in campo una strategia, fondata su "bandi mirati per sollecitare l'imprenditoria soprattutto giovanile", ha spiegato Recchia. 
Un'azione per sviluppare nuovi servizi, da quelli tecnologici a quelli legati alla fruizione culturale dei luoghi attraversati dalla Regina Viarum. Il progetto, presentato alla presenza tra l'altro del soprintendente al Colosseo, al Museo Nazionale Romano e all'Area Archeologica di Roma, Francesco Prosperetti, a Rita Paris soprintendente dell'Appia e al direttore di Repubblica, Ezio Mauro, nasce dalle suggestioni suscitate dal recente viaggio che il giornalista di Repubblica, Paolo Rumiz, ha compiuto lungo il percorso dell'antica via Appia, da Roma a Brindisi. 
Il viaggio, 'Alla ricerca dell'Appia perduta', è stato raccontato a puntate sul quotidiano romano. "Il cammino di Santiago - ha detto Rumiz - ha solo una direzione, quella percorsa dai pellegrini verso il sepolcro di San Giacomo; l'Appia funziona nei due sensi: andando verso Brindisi è laica e politica. Nell'altro senso, da Brindisi a Roma, percorso da San Paolo e da San Pietro, la via Appia diventa una via 'religiosa' sulla quale si fonda l'identità cristiana dell'Europa"
Una strada 'perfetta' che all'epoca dei romani era di 530 chilometri, saliti ora 611 a causa delle deviazioni subentrate con l'età moderna.

domenica 13 settembre 2015

Roma: torna alla luce dimora arcaica del VI secolo a.c.

Risultati immagini per Roma: torna alla luce dimora arcaica del VI secolo a.c.

Scoperta a Roma, nei pressi della Stazione Termini, una dimora arcaica risalente all'inizio del VI secolo a.C. 
L'antica abitazione, situata all'interno di Palazzo Canevari (l'ex Istituto Geologico) si presenta come una delle più importanti scoperte archeologiche avvenute nella Capitale negli ultimi anni. 
La scoperta è stata presentata oggi alla stampa dal soprintendente del Colosseo, Museo Nazionale Romano e Area Archeologica di Roma, Francesco Prosperetti.
La struttura è stata rinvenuta questa estate durante gli scavi di archeologia preventiva della Soprintendenza condotti all'interno dell'ex Istituto Geologico diretti da Mirella Serlorenzi. La dimora, e i resti rinvenuti, d imostrano che questa parte della città, in epoca arcaica, non era destinata come si riteneva prima della scoperta soltanto all'uso funerario, ma era abitata. 
La scoperta della dimora, coeva al circuito delle mura serviane, si aggiunge a quella annunciata nel 2013 che hanno portato alla luce un gigantesco tempio databile all'inizio del V secolo a. C.
"Più di recente, approfondendo lo scavo fino alla quota corrispondente a quella della strada, sono stati ritrovati resti più antichi, quelli della dimora"
Si tratta, ha continuato Prosperetti, "di resti di una casa degli inizi del VI secolo a. C., un esempio di architettura arcaica come pochissimi ne restano in questa città".
Il palazzo in cui è stata effettuata la scoperta, in ristrutturazione, è stato acquistato nel 2015 da CdP Immobiliare Srl. (100% Cassa Depositi e Prestiti) e sarà destinato a sede di società del gruppo Cassa Depositi e Prestiti. 
I resti, comunque, dovrebbero essere offerti alla fruizione del pubblico. 
E' allo studio, infatti, un progetto di musealizzazione dei reperti con la possibilità di renderli visitabili. "Nulla verrà rimosso e stiamo discutendo il modo in cui potrà essere fruito dal pubblico. 
Ciò che posso anticipare con certezza è che questi ritrovamenti non saranno "reinterrati", ha evidenziato il soprintendente.
I materiali rinvenuti indicherebbero una destinazione domestica, mentre la posizione in una zona elevata della città, le dimensioni, la pianta e la tecnica costruttiva fanno ipotizzare l'appartenenza ad una famiglia di rango. 
L'eccezionalità della scoperta, ha sottolineato l'archeologa Serlorenzi, consiste nel fatto che "Roma, all'inizio del VI secolo, era molto più ampia di come immaginavamo che fosse prima di quest'ultimo scoperta".
Questo dipende dal fatto "che le ricerche realizzate in maniera massiva dopo l'Unità d'Italia purtroppo hanno cancellato le tracce più labili. Per cui della Roma arcaica o precedente alcune testimonianze sono state spazzate via"
Ciò significa, ancor più nel dettaglio, che la maggior parte delle informazioni erano sul "Foro e sull'Area Centrale. Si immaginava che quest'area non fosse abitata.Laddove si fanno scavi di emergenza, nelle poche parti di tessuto antico conservate, si vede che non è così", ha concluso l'archeologa.

venerdì 11 settembre 2015

La porta nord del Battistero di Firenze


All'apertura del nuovo Museo dell'Opera del Duomo manca davvero poco: il 29 ottobre 2015 si apriranno le porte della più grande raccolta di scultura monumentale fiorentina del Rinascimento al mondo. 
Dopo anni di attesa, torneranno visibili capolavori già noti al pubblico come la Pietà di Michelangelo, la Porta del Paradiso del Ghiberti e le Cantorie di Luca della Robbia e Donatello; per molte opere invece si tratta della prima esposizione dopo il restauro. 
È il caso della Porta Nord, altro capolavoro di Lorenzo Ghiberti che per la prima volta dopo 600 anni dalla sua realizzazione è stato interamente restaurato nel corso di due anni.
Considerata l’opera che apre la stagione del Rinascimento a Firenze, la Porta Nord del Battistero è la seconda in ordine di tempo (1403-1424), dopo quella di Andrea Pisano (1330-1336) e prima della Porta del Paradiso (1425-1452). 
Verosimilmente l’intenzione della ricca corporazione dei Mercanti, l’Arte di Calimala, era di far realizzare le Porte del Battistero una dietro l’altra, ma una serie di accadimenti, tra cui la peste del 1348, fermarono questo progetto che fu ripreso solo nel 1400, quando fu deciso di indire un concorso per la seconda porta del Battistero. 
Oltre al Ghiberti, parteciparono al concorso Filippo Brunelleschi, suo principale rivale, Simone da Colle, Niccolò d’Arezzo, Jacopo della Quercia da Siena, Francesco di Valdambrino e Niccolò Lamberti. 
Agli artisti fu chiesto di realizzare, in un anno, una formella con il tema del Sacrificio di Isacco. Lorenzo di Bartoluccio Ghiberti (1378-1455), vincerà il concorso e lavorerà per il resto della vita alle porte del Battistero che lo renderanno ricco e famoso. 
Di eguali dimensioni della più celebre Porta del Paradiso, la Porta Nord misura 3 metri di larghezza per 5 di altezza, ognuna delle 2 ante è del peso di oltre 4 tonnellate per un totale di 9. 

Il restauro 

Il restauro, eseguito dall' Opificio delle Pietre Dure e interamente finanziato con fondi privati messi a disposizione dall'Opera di Santa Maria del Fiore e della Guild of the Dome Association, è iniziato nel 2013 e si è concluso in questi giorni.
Come si può vedere dalle immagini, Lorenzo Ghiberti aveva dorato anche la seconda Porta del Battistero, ma a differenza della successiva Porta del Paradiso la doratura ad amalgama di mercurio fu eseguita solo sui rilievi scultorei lasciando il fondo bronzeo. 
Un contrasto, tra la luminosità dell’oro e lo scuro del bronzo, che rende quest’opera straordinaria, al pari della bellezza della Porta del Paradiso.

Il trasporto

Lo spostamento della Porta Nord avrà luogo nella notte tra il 10 e l'11 settembre quando l'opera verrà trasportata dalla sede dei laboratori dell'Opificio delle Pietre Dure fino in Piazza Duomo. 
Qui verrà collocata all'interno del nuovo Museo dell'Opera nella sua nuova sistemazione, vicino alla Porta del Paradiso, dove dal 29 ottobre sarà visitabile in tutto il suo splendore. Vi aspettiamo!

mercoledì 9 settembre 2015

Il Dio ritrovato. Lo straordinario recupero di un Vasari nel complesso di Santa Maria Novella.



Testo e foto di Marco Turini

Questa storia comincia a Santa Maria Novella, esattamente nel convento adiacente alla Basilica.  
Convento, Basilica, Chiostri e Refettorio appartengono allo stesso complesso storico-artistico.  Fondata dai padri Domenicani Santa Maria Novella è tutt’ora co-gestita da un’attiva comunità di frati che coordina l’attività religiosa del complesso e non solo. Punto di riferimento di numerosi artisti del Medioevo e del Rinascimento Santa Maria Novella ha accolto fino ad ora centinaia di opere inestimabili. 
Alcune di queste sono esposte nella Basilica, altre sono in restauro o in esposizione in importanti musei. Alcune giacciono nei magazzini del convento in attesa della giusta sede espositiva o di un intervento di recupero. 
Le opere di proprietà del convento sono sotto la tutela delle Soprintendenze e delle Istituzioni. Purtroppo non sempre i fondi a disposizione riescono a coprire i costi di restauro dei capolavori presenti.
Non è questo il caso del tondo del XVI secolo raffigurante “Padre Eterno” ed attribuito a Giorgio Vasari. 
Quest’opera prima del restauro si trovava in uno stato di conservazione compromesso dal tempo, dagli agenti atmosferici e da interventi antropici di varia natura (alcuni non sempre andati a buon fine). 
Quando Claudia Reichold, restauratrice di origine tedesca, è stata incaricata di occuparsi di quest’opera sapeva che il lavoro di recupero sarebbe stato tutt’altro che facile.
Con scarse risorse (e molta pazienza) è stato possibile portare a termine il faticoso restauro.
Claudia è una restauratrice esperta con anni di studi e di pratica alle spalle (di cui molti trascorsi a Firenze). 
Si è occupata della manutenzione di tutti i dipinti del Quattrocento italiano esposti alla Galleria degli Uffizi (Mantegna, Bellini, Carpaccio, Foppa, Melozzo da Forlì, etc.). 
Ha contribuito alla manutenzione della “Primavera” di Botticelli, al restauro della “Medusa” di Caravaggio e di due quadri del Canaletto (sono tutti esposti alla Galleria degli Uffizi). 
Ha gli occhi che si illuminano quando descrive l’opera che ha davanti. 
Con le braccia imita la figura del padre eterno che si torce con forza sovrannaturale fra le nubi di cui sembra fatto.  “Senti come muove l’aria intorno al quadro!” mi dice, come se il movimento della figura si propagasse nell’ambiente circostante. 
Mi faccio trasportare anch’io dal suo entusiasmo e dall’atmosfera magica che aleggia in questo remoto angolo del convento.

venerdì 4 settembre 2015

Il restauro della Cappella Paolina in Vaticano



Il restauro della Cappella Paolina ha rappresentato probabilmente l’impresa più impegnativa mai affrontata dal Laboratorio Restauro Dipinti dei Musei Vaticani, non tanto per l’estensione delle superfici, quanto per la complessità dei problemi da affrontare dal punto di vista tecnico e per le scelte riguardanti la restituzione estetica finale.
I sostanziali cambiamenti che la Cappella subì attraverso numerosi interventi manutentivi e di ridipintura, portarono alla scomparsa della memoria storica delle testimonianze stilistiche di vari pontificati. Le metodologie di restauro messe in atto per recuperare i raffinati rilievi in oro zecchino e “stucco romano”, sono state le più svariate ed hanno visto l’impiego di tecniche d’intervento dalle più tradizionali (pulitura chimica e de- scialbo meccanico) alle più attuali (impiego di ablatori ad ultrasoni e di apparecchiature laser) che in sei anni di lavoro hanno consentito il paziente, minuzioso recupero di tutta la valenza plastica originale degli stucchi che facevano da cornice agli affreschi cinquecenteschi.
All’interno delle sontuose cornici in stucco dorato hanno preso nuova vita anche gli affreschi delle volte e delle pareti, opera di Zuccari e Sabbatini, il cui restauro ha previsto sia l’impiego di metodologie canoniche di pulitura eseguita con una soluzione di bicarbonato d’ammonio applicata attraverso carta giapponese a tempo di contatto limitato.
L’intervento sull’intero apparato decorativo e figurativo della Cappella, ha fornito la possibilità di accogliere in un giusto “ambiente” le risultanze del restauro degli ultimi affreschi di Michelangelo Buonarroti: “La Conversione di Saulo e “La Crocefissione di San Pietro”.
I primi test di pulitura sui dipinti di Michelangelo nella Cappella Paolina, sono stati eseguiti nel 2003 e sono stati preceduti da due anni di studi d’indagini scientifiche.
L’intervento di restauro degli affreschi michelangioleschi eseguito da Maurizio De Luca (San Pietro) e Maria Ludmila Pustka (San Paolo), ha previsto una fase iniziale mirata alla rimozione del deposito superficiale di particellato incoerente con pennellesse di pelo di capretto, seguita dall’asportazione del particellato residuo maggior- mente coerente mediante l’impiego di spugne naturali ad alveoli stretti imbevute di acqua deionizzata.
La pulitura definitiva della superficie dipinta, è iniziata con l’applicazione di solventi a bassa tensione superficiale, quale trattamento propedeutico all’impiego di solventi a maggiore polarità, ed è continuata con la messa in soluzione delle sostanze organiche soprammesse che nel tempo si erano scurite, per mezzo di una soluzione satura al 6% di bicarbonato d’ammonio in acqua deionizzata applicata attraverso carta giapponese per un tempo di contatto di un minuto.
La pulitura si è conclusa con la fase di riassunzione del residuo dei solventi con acqua deionizzata attraverso carta giapponese; infine, per la rimozione delle gocce di materiale ceroso, è stata utilizzata la tecnologia laser.
Il Michelangelo “riemerso” dalle risultanze della pulitura, è un artista che si avvale di tutte le peculiarità offerte dalla tradizione tecnica di una pittura murale molto vicina a quella dei suoi maestri quattrocenteschi.
Oltre alle stesure in affresco (pigmenti disciolti in acqua applicati su intonaco umido), l’artista dipinge anche a “mezzo fresco” (pigmenti uniti alla calce su intonaco parzialmente asciutto) ed “a secco” (pigmenti uniti ad un aggregante su intona- co completamente asciutto).
Tra le altre numerose informazioni acquisite, la più rilevante riguarda la scena della Crocefissione, sulla quale il pittore corregge se stesso modificando l’impostazione prospettica della croce che già aveva dipinto; ruota, infatti, il braccio orizzontale di qualche grado verso l’alto ed esegue con- testualmente una nuova mano sinistra dell’Apostolo del quale cambia anche la postura del capo, facendogli assumere una posizione quasi frontale.
Osservando un disegno e alcune copie a stampa di artisti tardo cinquecenteschi, si è potuto anche comprendere come Michelangelo non avesse previsto la realizzazione del panneggio censorio di San Pietro e neanche dei chiodi, tutti elementi che l’osservazione diretta confortata dall’indagine scientifica, hanno permesso di confermare come eseguiti in un momento diverso dalla redazione originaria.
Più numerose erano invece le ridipinture riscontrate nella zona alta della scena della “Conversione di Saulo”; queste furono eseguite soprattutto per mascherare le lacune e l’impoverimento della superficie pittorica di alcuni personaggi causati da pregresse formazioni di sali solubili.
Laddove la perdita parziale di parti originali aveva reso visibile la malta originale, è stato possibile ricostituire la corretta lettura dell’unità potenziale dei soggetti, graduando con colori ad ac- querello la tonalità dell’intonaco rimasto in vista.
Lo studio della sequenza delle “giornate” che hanno scandito il lavoro di realizzazione dei due affreschi, ha portato ad individuare nel gruppo delle “dolenti” ai piedi della croce di San Pietro, le ultime pennellate della vita di Michelangelo.

Maestro Maurizio De Luca, Ispettore e Capo Restauratore del Laboratorio Restauro Dipinti del Vaticano

giovedì 3 settembre 2015

Museo di Arte Religiosa Alpina di Giaglione



Il museo è allestito presso le sale annesse alla locale chiesa di san Vincenzo Martire. Il percorso espositivo è scandito da più sezioni definite da alcune opere di grande interesse e valore come: una collezione di sculture lignee, alcune risalenti al XV; opere di alto pregio artistico realizzate da maestri intagliatori della regione d'oltralpe della Maurienne (Clappier di Bessan e Claude Simon di Bramans); oggetti di oreficeria di raffinata fattura artigianale e infine una nutrita collezione di paramenti e arredi sacri.