di Marco Respinti
I Longobardi sono un popolo bistrattato. Chi enfatizza il ruolo avuto dai Franchi nella costruzione della civiltà europea li considera maldestremamente solo una palla al piede. Chi pecca di nazionalismo ante litteram ne esagera invece anacronisticamente l’importanza. Per questo, contro ogni distorsione neoguelfa o neoghibellina, I Longobardi. Dalle origini mitiche alla caduta del regno in Italia di Nicola Bergamo (LEG, pp. 230, euro 22) è un libro salutare.
L’autore – veneziano, classe 1977, laureatosi a Ca’ Foscari, titolare di un Master of Arts alla Queen’s University of Belfast, borsista alla University of Notre Dame di South Bend, nell’Indiana, e ora dottorando alla prestigiosa École des hautes études en sciences sociales di Parigi – è un bizantinista. Per ciò sa collocare la vicenda longobarda nel contesto giusto, restituendo a essa profondità.
Nel suo studio, dotto ma fruibile anche dai non specialisti, Bergamo ripercorre la bisecolare sfida per il dominio del suolo italico che oppose questa popolazione germanica all’Impero Romano d’Oriente. Molte sono le pagine gustose di una vicenda affascinante che, guidato dal giovane studioso, il lettore può finalmente tornare ad assaporare, dall’accurata ricostruzione della religione odinica, professata originariamente dai Longobardi venuti dal Nord e transitati per l’Est, alla loro conversione al cristianesimo, passata attraverso l’eresia ariana (ma in forma blanda, spiega Bergamo). È però il quadro d’insieme il valore aggiunto del suo libro. Perché con lui i Longobardi tornano a essere i grandi traghettatori dell’Italia dalla tarda antichità al Medioevo, allorché si adoperarono per cementare un ordine sostenibile dopo il tracollo delle istituzioni romane e i trambusti delle guerre gotiche.
Così facendo, infatti, i Longobardi diedero allo Stivale un futuro che altrimenti sarebbe stato impensabile. Per quanto paradossale sembri, fu proprio questo popolo pagano e barbaro a risuscitare l’idea romana di una civitas identitaria basata sulla comunanza culturale e non sul sangue; e il Paese dei mille campanili, omogeneo ma non omologato, ne è ancora l’eredità più feconda.
Opponendosi con successo a Bisanzio, i Longobardi operarono dunque la prima, fondamentale «scelta occidentale» dell’Italia. Altrimenti il Grande Scisma d’Oriente del 1054 avrebbe travolto anche la penisola; e chissà cosa sarebbe stato del Belpaese orientalizzato allorché l’islam prima e il comunismo dopo travolsero tutto l’Est…
Senza volerlo né saperlo, forgiarono l’Italia in un bastione a difesa persino di quella Roma papale che alla fine li scaricò per un altro amore, la restaurazione dell’Impero Occidentale. Riuscirono là dove i Goti mancarono, diedero una possibilità al futuro, restituirono all’Italia la sua vocazione storica, furono il suo vero Risorgimento e poi scomparvero dopo avere interpretato una trama più grande di loro da protagonisti inconsapevoli. Quasi provvidenziali.
L’autore – veneziano, classe 1977, laureatosi a Ca’ Foscari, titolare di un Master of Arts alla Queen’s University of Belfast, borsista alla University of Notre Dame di South Bend, nell’Indiana, e ora dottorando alla prestigiosa École des hautes études en sciences sociales di Parigi – è un bizantinista. Per ciò sa collocare la vicenda longobarda nel contesto giusto, restituendo a essa profondità.
Nel suo studio, dotto ma fruibile anche dai non specialisti, Bergamo ripercorre la bisecolare sfida per il dominio del suolo italico che oppose questa popolazione germanica all’Impero Romano d’Oriente. Molte sono le pagine gustose di una vicenda affascinante che, guidato dal giovane studioso, il lettore può finalmente tornare ad assaporare, dall’accurata ricostruzione della religione odinica, professata originariamente dai Longobardi venuti dal Nord e transitati per l’Est, alla loro conversione al cristianesimo, passata attraverso l’eresia ariana (ma in forma blanda, spiega Bergamo). È però il quadro d’insieme il valore aggiunto del suo libro. Perché con lui i Longobardi tornano a essere i grandi traghettatori dell’Italia dalla tarda antichità al Medioevo, allorché si adoperarono per cementare un ordine sostenibile dopo il tracollo delle istituzioni romane e i trambusti delle guerre gotiche.
Così facendo, infatti, i Longobardi diedero allo Stivale un futuro che altrimenti sarebbe stato impensabile. Per quanto paradossale sembri, fu proprio questo popolo pagano e barbaro a risuscitare l’idea romana di una civitas identitaria basata sulla comunanza culturale e non sul sangue; e il Paese dei mille campanili, omogeneo ma non omologato, ne è ancora l’eredità più feconda.
Opponendosi con successo a Bisanzio, i Longobardi operarono dunque la prima, fondamentale «scelta occidentale» dell’Italia. Altrimenti il Grande Scisma d’Oriente del 1054 avrebbe travolto anche la penisola; e chissà cosa sarebbe stato del Belpaese orientalizzato allorché l’islam prima e il comunismo dopo travolsero tutto l’Est…
Senza volerlo né saperlo, forgiarono l’Italia in un bastione a difesa persino di quella Roma papale che alla fine li scaricò per un altro amore, la restaurazione dell’Impero Occidentale. Riuscirono là dove i Goti mancarono, diedero una possibilità al futuro, restituirono all’Italia la sua vocazione storica, furono il suo vero Risorgimento e poi scomparvero dopo avere interpretato una trama più grande di loro da protagonisti inconsapevoli. Quasi provvidenziali.
da “Libero”, 13/12/2012.