lunedì 25 gennaio 2021
domenica 9 febbraio 2020
lunedì 23 dicembre 2019
Tomar
Testo e fotografie di Nicola Iacovone
Rifugio dei Templari sotto la protezione del Re Dom Dinis, (che dovettero cambiare nome in Milizia di Cristo dopo l’”editto” per la soppressione dell’ordine da parte di Filippo il Bello).
Il complesso è semplicemente mozzafiato ed elencare i suoi gioielli è impensabile; mi limito alla Charola, stupefacente rotonda romanica, ispirata al Santo Sepolcro di Gerusalemme con giochi policromi di riferimento bizantino e con un deambulatorio a 16 facciate. (Basti pensare che i cavalieri ascoltavano messa e ottenevano benedizione stando sui proprio cavalli!).
Per non parlare della Janela do Capitulo (Finestra di Tomar), la più insolita e affascinante scultura in stile manuelina del Portogallo: occorrerebbe creare un fotoalbum solo per rappresentare i dettagli e il simbolismo che contengono. Senza tralasciare il record di 8 chiostri, mai eguagliato.
domenica 15 dicembre 2019
Precettoria di Sant'Antonio di Ranverso
Testo e immagini di Nicola Iacovone
Quello che vi presento oggi, è un reportage fatto, praticamente, dal cortile di casa.
A pochi passi da Torino, all’imbocco della Val di Susa e poco distante dalla famosa Sacra di San Michele, sorge questo tesoretto, importante centro di cura dell’epoca. Il nome Ranverso deriva dalla fusione di due parole, “rio inverso” (ruscello all’inverso, cioè a nord, all’ombra, contrapposto a indritto, a sud, al sole). Il complesso ospedaliero sorse a partire dal 1188 per volere dei canonici dell’ordine di Sant’Antonio di Vienne, i quali si dedicarono all’assistenza dei pellegrini sulla Via Francigena e alla cura dei malati di herpes zoster (il “fuoco di Sant’Antonio”). Vi venivano attuate apprezzabili pratiche di isolamento e cura delle piaghe infette mediante il grasso dei maiali per evitare l'espandersi dell'infezione, tant'è che la stessa iconografia di sant'Antonio Abate divenne esplicita, raffigurando il santo sempre accanto a un suino. Era definita Precettoria perchè fondazione dipendente dalla casa madre, la chiesa abbaziale di Saint-Antoine-du-Viennois. La chiesa venne fondata in prossimità della via Francigena che, attraverso la Val di Susa e i passi del Moncenisio e del Monginevro, collegava la Francia con la pianura padana e, passando per l’Italia centrale, con Roma. Umberto III di Savoia, fondatore della Precettoria, chiamò a risiedervi gli Antoniani, appartenenti ad un ordine ospedaliero fondato in Francia nel 1095 da un nobiluomo francese, il cui figlio era stato guarito da questa malattia. Gli Antoniani si occupavano particolarmente della cura di questo morbo, molto diffuso tra i poveri per motivi dovuti alla loro alimentazione: il fuoco di Sant’Antonio, infatti, era provocato soprattutto dall’ingestione di segale cornuta (la segale contaminata da un fungo, nella quale si sviluppava un alcaloide che provocava l’infezione). Gli Antoniani in origine erano infermieri e frati laici; solo nel 1297 divennero ordine di canonici, aderendo alla regola di Sant’Agostino. La sede dell’ordine antoniano era in Francia, a La Motte St. Didier (ora Bourg St. Antoine) in Delfinato, dove nel 1080 le reliquie di Sant’Antonio erano state trasportate da Costantinopoli.
La chiesa, inizialmente costruita in stile romanico, in seguito alle trasformazioni subite ha assunto forme gotiche, che culminano nel gotico tardo dell’ultimo intervento. La facciata attuale, che risale al XV secolo, è a capanna e presenta tre portali con archi a sesto acuto a cui si sovrappongono le ghimberghe, sormontate da un pinnacolo. Da come è evidente nelle immagini, la ghimberga centrale non è in asse con la facciata, ma spostata verso destra in modo tale da non coprire completamente il rosone, testimoniando così che le ghimberghe costituiscono un’aggiunta posteriore; la facciata è abbellita e movimentata da una ricca decorazione in terracotta, fatta mettere in opera da Jean de Montchenu, cellerario dal 1470 al 1497 e ultimo artefice delle sistemazioni della chiesa, che fece apporre il suo stemma (un’aquila) all’interno della ghimberga centrale. La facciata presenta inoltre una decorazione dipinta a motivi geometrici, e due "tau" affrescate al di sopra delle monofore. A dire il vero, questo simbolo è presente in più pari del complesso, sia all’interno che all’esterno. Ultima lettera dell’alfabeto ebraico fa riferimento alle cose ultime e al destino. Molte sono le sue interpretazioni, ma, nella fattispecie, due sono le più consone. Una è di natura biblica e rimanda alla visione di Ezechiele che previde la salvezza del popolo di Gerusalemme per coloro che portavano questo simbolo sulla fronte, analogo alla salvezza degli Ebrei che contrassegnarono lo stipite delle proprie case al passaggio dell’Angelo della Morte. Altra ipotesi, più terrena e pratica, fa riferimento alla somiglianza col bastone con cui si sostenevano gli ammalati che qui si recavano per curarsi. Tra l’altro, esiste anche una leggenda popolare che narra di Sant’Antonio recarsi all’inferno per recuperare delle anime e, mentre il suo maialino gettava scompiglio tra i demoni, egli accese il suo “tau” (il bastone) con il fuoco degli inferi recuperando così anime e maialino, riportandoli fuori, e donando all’umanità questo suo fuoco.
I tre portali della facciata danno accesso a un portico, o nartece, eretto intorno alla metà del XIV secolo. È coperto con volte a crociera, con decorazioni tra le quali è facilmente visibile la nave che trasporta da Costantinopoli alle coste francesi il corpo di Sant’Antonio, che sarà poi sepolto nella chiesa di La Motte St. Didier in Delfinato. Le volte sono sostenute da pilastri con capitelli e da mensole, tutti realizzati in pietra grigio-verde, che crea un contrasto cromatico con il rosso delle strutture in cotto; sia i capitelli sia le mensole, scolpiti da un anonimo artista piemontese intorno al 1350, sono ornati con teste umane, animali e mostri, secondo l’usanza diffusa nel Medioevo. Nella lunetta del portale centrale si trova un affresco risalente alla fine del XV secolo, che raffigura una Madonna con Bambino tra San Giovanni Evangelista e un altro Santo, e angeli sullo sfondo.
L'interno è a tre navate divise da pilastri che sostengono archi a sesto acuto e volte a crociera. L’impressione di asimmetria e irregolarità che esso suscita trova la sua spiegazione nelle diverse fasi costruttive, ma, nonostante ciò, è altamente suggestivo l’ingresso all’interno della chiesa, che avviene lateralmente, accedendo subito nella navata di destra.
In fondo, si trova la cappella di San Biagio, ornata con affreschi attribuiti al maggior esponente del gotico internazionale nello stato sabaudo, il pittore torinese Giacomo Jaquerio; ai lati della finestra sono rappresentati Santa Barbara e due Santi; sulla parete destra e sopra l’arcata scene della vita di San Biagio: miracolo del bambino liberato dalla spina e sulla sinistra, scena di San Biagio tra gli animali (i due affreschi del registro superiore). La parte della volta più vicina alla finestra, presenta, ben raffigurati, i simboli degli evangelisti.
Sopra l’arco d’ingresso della seconda cappella a sinistra della navata centrale, un affresco quattrocentesco raffigura la Madonna con il Bambino tra San Bernardino da Siena e Sant’Antonio Abate, il quale presenta una donna inginocchiata, che sarebbe la moglie di Eugenio Raspa, il committente dell’affresco, di nome Bianchina, come ricorda l’iscrizione sottostante; al di sotto vi sono alcuni affreschi duecenteschi: una Natività, i Santi Pietro e Paolo con il Cristo Benedicente, la cui figura è stata tagliata in seguito all’apertura dell’arcone. Sopra l’arcata più prossima al presbiterio, si trovano un altro Cristo Benedicente fra i simboli degli Evangelisti e sei Apostoli: gli affreschi sono molto deperiti e risalgono agli inizi del XIV secolo.
Nella prima cappella della navata di sinistra, sono affrescati episodi della leggenda della Maddalena, risalenti al 1395 ed eseguiti molto probabilmente da Pietro da Milano, autore, insieme ai suoi discepoli, della decorazione tardo trecentesca della Precettoria; sulla parete di fondo è dipinta una Crocifissione. Nella seconda cappella (così come nella prima e nell’ultima) rimangono tracce di una decorazione tardo trecentesca consistente in un velario ricamato. Nella cappella al termine è rappresentato un ciclo di storie della Vergine, attribuite a Jaquerio, che iniziano dalla parete a destra rispetto alla finestra laterale con l’Annunciazione, proseguono ai lati dell’arcone d’ingresso alla cappella con la Visitazione e la Natività, mentre sulla parete di fronte all’altare in due registri sovrapposti sono dipinte l’Adorazione dei Magi e la Presentazione al Tempio; sulla sinistra della finestra è affrescata la Dormitio Virginis, mentre negli sguanci della stessa finestra sono ritratti Sant’Eutropio a sinistra e San Dionigi a destra. Gli affreschi sono stati scoperti durante il restauro condotto nel 1910, danneggiando, però, le pitture già in cattivo stato di conservazione.
Gli affreschi del presbiterio sono come un documento di riconoscimento dell’attività di Jaquerio: infatti sono l’unica opera firmata dal pittore torinese tramite un’iscrizione scoperta, insieme agli affreschi, durante il restauro nel 1914; essa è posta sopra la fascia inferiore dei dipinti sulla parete settentrionale e recita: “[picta] fuit ista capella p[er] manu[m] Iacobi Iaqueri de Taurino”. La decorazione pittorica, come appare attualmente, è molto diversa da quella originaria: infatti alla fine del XV secolo, per permettere la costruzione dell’abside e delle nuove volte, furono distrutte la parete terminale del presbiterio e le volte antiche, eliminando così una parte consistente dei sui affreschi. Sulla parete di sinistra, nella zona centrale tra le due finestre, è rappresentata la Vergine con in Braccio il Bambino che si sporge verso un donatore inginocchiato; la Vergine è seduta su un trono e alle sue spalle due angeli reggono un tendaggio, mentre il trono è situato all’interno di una complessa struttura architettonica di stile gotico sormontata da alte cuspidi. Le finestre ai lati della scena centrale sono decorate con elementi architettonici e sulla superficie degli sguanci sono dipinte figure di Santi all’interno di edicole gotiche: nella finestra di sinistra San Giovanni Battista e Sant’Antonio Abate, nella finestra di destra Santa Marta e Santa Margherita. Lateralmente alle figure di questi santi e sante, sono ancora rappresentati a sinistra l’Arcangelo Michele e a destra i Santi Vescovi Nicola e Martino. Al di sotto di questa fascia vi sono sette figure di re e profeti dell’Antico Testamento, impostati con una chiarezza prospettica inusuale per il tempo. Di essi, che in origine erano otto, soltanto il re Davide è identificabile con sicurezza. La decorazione sulla parete meridionale del presbiterio, per la parte superiore, gli affreschi sono suddivisi in tre registri, mentre nella parte inferiore, la cui superficie è interrotta da un arcosolio e da due porte che introducono nella cappella adibita a sagrestia, è rappresentata un’unica scena. I tre registri superiori mostrano episodi della vita di Sant’Antonio Abate e le sue tentazioni; inferiormente, da destra verso sinistra, sono raffigurati una coppia inginocchiata con offerte, accanto alla quale si trova un bambino che porta un cero, e poi gruppi di pastori, anch’essi con offerte, che spingono davanti a sé capre e maiali: si tratta forse di una cerimonia in onore di Sant’Antonio. Su questa parete, il restauro ha messo in luce tracce di affreschi precedenti. Nell’arcosolio è rappresentato Cristo che si erge dal sepolcro con accanto i simboli della passione (gallo, spugna con aceto, corona di spine, chiodi, etc.), affresco di Jaquerio o della sua scuola, mentre i dipinti sulle lunette sovrastanti le due porte sono stati eseguiti nel Trecento. La datazione della decorazione del presbiterio non è certa; secondo alcuni risalirebbe agli anni posteriori al 1429, data del ritorno definitivo di Jaquerio a Torino, mentre secondo altri, e questa è l’opinione più comunemente accettata, essa sarebbe da collocare nella seconda decade del XV secolo. Un’ultima osservazione riguardo alla decorazione del presbiterio: manca qui, come nella cappella adibita a sagrestia, la rappresentazione della Crocifissione. Per giustificare questa assenza, si è ipotizzato che la Crocifissione fosse affrescata sulla parete terminale del presbiterio, demolita alla fine del secolo XV, mentre altri pensano che dovesse esistere una tavola con questo tema sull’altare della cappella, e congetturano che sulla parete distrutta fosse raffigurata una Natività, anche perché questa scena è al centro del polittico di Defendente Ferrari sull’altare maggiore.
A pochi passi da Torino, all’imbocco della Val di Susa e poco distante dalla famosa Sacra di San Michele, sorge questo tesoretto, importante centro di cura dell’epoca. Il nome Ranverso deriva dalla fusione di due parole, “rio inverso” (ruscello all’inverso, cioè a nord, all’ombra, contrapposto a indritto, a sud, al sole). Il complesso ospedaliero sorse a partire dal 1188 per volere dei canonici dell’ordine di Sant’Antonio di Vienne, i quali si dedicarono all’assistenza dei pellegrini sulla Via Francigena e alla cura dei malati di herpes zoster (il “fuoco di Sant’Antonio”). Vi venivano attuate apprezzabili pratiche di isolamento e cura delle piaghe infette mediante il grasso dei maiali per evitare l'espandersi dell'infezione, tant'è che la stessa iconografia di sant'Antonio Abate divenne esplicita, raffigurando il santo sempre accanto a un suino. Era definita Precettoria perchè fondazione dipendente dalla casa madre, la chiesa abbaziale di Saint-Antoine-du-Viennois. La chiesa venne fondata in prossimità della via Francigena che, attraverso la Val di Susa e i passi del Moncenisio e del Monginevro, collegava la Francia con la pianura padana e, passando per l’Italia centrale, con Roma. Umberto III di Savoia, fondatore della Precettoria, chiamò a risiedervi gli Antoniani, appartenenti ad un ordine ospedaliero fondato in Francia nel 1095 da un nobiluomo francese, il cui figlio era stato guarito da questa malattia. Gli Antoniani si occupavano particolarmente della cura di questo morbo, molto diffuso tra i poveri per motivi dovuti alla loro alimentazione: il fuoco di Sant’Antonio, infatti, era provocato soprattutto dall’ingestione di segale cornuta (la segale contaminata da un fungo, nella quale si sviluppava un alcaloide che provocava l’infezione). Gli Antoniani in origine erano infermieri e frati laici; solo nel 1297 divennero ordine di canonici, aderendo alla regola di Sant’Agostino. La sede dell’ordine antoniano era in Francia, a La Motte St. Didier (ora Bourg St. Antoine) in Delfinato, dove nel 1080 le reliquie di Sant’Antonio erano state trasportate da Costantinopoli.
La chiesa, inizialmente costruita in stile romanico, in seguito alle trasformazioni subite ha assunto forme gotiche, che culminano nel gotico tardo dell’ultimo intervento. La facciata attuale, che risale al XV secolo, è a capanna e presenta tre portali con archi a sesto acuto a cui si sovrappongono le ghimberghe, sormontate da un pinnacolo. Da come è evidente nelle immagini, la ghimberga centrale non è in asse con la facciata, ma spostata verso destra in modo tale da non coprire completamente il rosone, testimoniando così che le ghimberghe costituiscono un’aggiunta posteriore; la facciata è abbellita e movimentata da una ricca decorazione in terracotta, fatta mettere in opera da Jean de Montchenu, cellerario dal 1470 al 1497 e ultimo artefice delle sistemazioni della chiesa, che fece apporre il suo stemma (un’aquila) all’interno della ghimberga centrale. La facciata presenta inoltre una decorazione dipinta a motivi geometrici, e due "tau" affrescate al di sopra delle monofore. A dire il vero, questo simbolo è presente in più pari del complesso, sia all’interno che all’esterno. Ultima lettera dell’alfabeto ebraico fa riferimento alle cose ultime e al destino. Molte sono le sue interpretazioni, ma, nella fattispecie, due sono le più consone. Una è di natura biblica e rimanda alla visione di Ezechiele che previde la salvezza del popolo di Gerusalemme per coloro che portavano questo simbolo sulla fronte, analogo alla salvezza degli Ebrei che contrassegnarono lo stipite delle proprie case al passaggio dell’Angelo della Morte. Altra ipotesi, più terrena e pratica, fa riferimento alla somiglianza col bastone con cui si sostenevano gli ammalati che qui si recavano per curarsi. Tra l’altro, esiste anche una leggenda popolare che narra di Sant’Antonio recarsi all’inferno per recuperare delle anime e, mentre il suo maialino gettava scompiglio tra i demoni, egli accese il suo “tau” (il bastone) con il fuoco degli inferi recuperando così anime e maialino, riportandoli fuori, e donando all’umanità questo suo fuoco.
I tre portali della facciata danno accesso a un portico, o nartece, eretto intorno alla metà del XIV secolo. È coperto con volte a crociera, con decorazioni tra le quali è facilmente visibile la nave che trasporta da Costantinopoli alle coste francesi il corpo di Sant’Antonio, che sarà poi sepolto nella chiesa di La Motte St. Didier in Delfinato. Le volte sono sostenute da pilastri con capitelli e da mensole, tutti realizzati in pietra grigio-verde, che crea un contrasto cromatico con il rosso delle strutture in cotto; sia i capitelli sia le mensole, scolpiti da un anonimo artista piemontese intorno al 1350, sono ornati con teste umane, animali e mostri, secondo l’usanza diffusa nel Medioevo. Nella lunetta del portale centrale si trova un affresco risalente alla fine del XV secolo, che raffigura una Madonna con Bambino tra San Giovanni Evangelista e un altro Santo, e angeli sullo sfondo.
L'interno è a tre navate divise da pilastri che sostengono archi a sesto acuto e volte a crociera. L’impressione di asimmetria e irregolarità che esso suscita trova la sua spiegazione nelle diverse fasi costruttive, ma, nonostante ciò, è altamente suggestivo l’ingresso all’interno della chiesa, che avviene lateralmente, accedendo subito nella navata di destra.
In fondo, si trova la cappella di San Biagio, ornata con affreschi attribuiti al maggior esponente del gotico internazionale nello stato sabaudo, il pittore torinese Giacomo Jaquerio; ai lati della finestra sono rappresentati Santa Barbara e due Santi; sulla parete destra e sopra l’arcata scene della vita di San Biagio: miracolo del bambino liberato dalla spina e sulla sinistra, scena di San Biagio tra gli animali (i due affreschi del registro superiore). La parte della volta più vicina alla finestra, presenta, ben raffigurati, i simboli degli evangelisti.
Sopra l’arco d’ingresso della seconda cappella a sinistra della navata centrale, un affresco quattrocentesco raffigura la Madonna con il Bambino tra San Bernardino da Siena e Sant’Antonio Abate, il quale presenta una donna inginocchiata, che sarebbe la moglie di Eugenio Raspa, il committente dell’affresco, di nome Bianchina, come ricorda l’iscrizione sottostante; al di sotto vi sono alcuni affreschi duecenteschi: una Natività, i Santi Pietro e Paolo con il Cristo Benedicente, la cui figura è stata tagliata in seguito all’apertura dell’arcone. Sopra l’arcata più prossima al presbiterio, si trovano un altro Cristo Benedicente fra i simboli degli Evangelisti e sei Apostoli: gli affreschi sono molto deperiti e risalgono agli inizi del XIV secolo.
Nella prima cappella della navata di sinistra, sono affrescati episodi della leggenda della Maddalena, risalenti al 1395 ed eseguiti molto probabilmente da Pietro da Milano, autore, insieme ai suoi discepoli, della decorazione tardo trecentesca della Precettoria; sulla parete di fondo è dipinta una Crocifissione. Nella seconda cappella (così come nella prima e nell’ultima) rimangono tracce di una decorazione tardo trecentesca consistente in un velario ricamato. Nella cappella al termine è rappresentato un ciclo di storie della Vergine, attribuite a Jaquerio, che iniziano dalla parete a destra rispetto alla finestra laterale con l’Annunciazione, proseguono ai lati dell’arcone d’ingresso alla cappella con la Visitazione e la Natività, mentre sulla parete di fronte all’altare in due registri sovrapposti sono dipinte l’Adorazione dei Magi e la Presentazione al Tempio; sulla sinistra della finestra è affrescata la Dormitio Virginis, mentre negli sguanci della stessa finestra sono ritratti Sant’Eutropio a sinistra e San Dionigi a destra. Gli affreschi sono stati scoperti durante il restauro condotto nel 1910, danneggiando, però, le pitture già in cattivo stato di conservazione.
Gli affreschi del presbiterio sono come un documento di riconoscimento dell’attività di Jaquerio: infatti sono l’unica opera firmata dal pittore torinese tramite un’iscrizione scoperta, insieme agli affreschi, durante il restauro nel 1914; essa è posta sopra la fascia inferiore dei dipinti sulla parete settentrionale e recita: “[picta] fuit ista capella p[er] manu[m] Iacobi Iaqueri de Taurino”. La decorazione pittorica, come appare attualmente, è molto diversa da quella originaria: infatti alla fine del XV secolo, per permettere la costruzione dell’abside e delle nuove volte, furono distrutte la parete terminale del presbiterio e le volte antiche, eliminando così una parte consistente dei sui affreschi. Sulla parete di sinistra, nella zona centrale tra le due finestre, è rappresentata la Vergine con in Braccio il Bambino che si sporge verso un donatore inginocchiato; la Vergine è seduta su un trono e alle sue spalle due angeli reggono un tendaggio, mentre il trono è situato all’interno di una complessa struttura architettonica di stile gotico sormontata da alte cuspidi. Le finestre ai lati della scena centrale sono decorate con elementi architettonici e sulla superficie degli sguanci sono dipinte figure di Santi all’interno di edicole gotiche: nella finestra di sinistra San Giovanni Battista e Sant’Antonio Abate, nella finestra di destra Santa Marta e Santa Margherita. Lateralmente alle figure di questi santi e sante, sono ancora rappresentati a sinistra l’Arcangelo Michele e a destra i Santi Vescovi Nicola e Martino. Al di sotto di questa fascia vi sono sette figure di re e profeti dell’Antico Testamento, impostati con una chiarezza prospettica inusuale per il tempo. Di essi, che in origine erano otto, soltanto il re Davide è identificabile con sicurezza. La decorazione sulla parete meridionale del presbiterio, per la parte superiore, gli affreschi sono suddivisi in tre registri, mentre nella parte inferiore, la cui superficie è interrotta da un arcosolio e da due porte che introducono nella cappella adibita a sagrestia, è rappresentata un’unica scena. I tre registri superiori mostrano episodi della vita di Sant’Antonio Abate e le sue tentazioni; inferiormente, da destra verso sinistra, sono raffigurati una coppia inginocchiata con offerte, accanto alla quale si trova un bambino che porta un cero, e poi gruppi di pastori, anch’essi con offerte, che spingono davanti a sé capre e maiali: si tratta forse di una cerimonia in onore di Sant’Antonio. Su questa parete, il restauro ha messo in luce tracce di affreschi precedenti. Nell’arcosolio è rappresentato Cristo che si erge dal sepolcro con accanto i simboli della passione (gallo, spugna con aceto, corona di spine, chiodi, etc.), affresco di Jaquerio o della sua scuola, mentre i dipinti sulle lunette sovrastanti le due porte sono stati eseguiti nel Trecento. La datazione della decorazione del presbiterio non è certa; secondo alcuni risalirebbe agli anni posteriori al 1429, data del ritorno definitivo di Jaquerio a Torino, mentre secondo altri, e questa è l’opinione più comunemente accettata, essa sarebbe da collocare nella seconda decade del XV secolo. Un’ultima osservazione riguardo alla decorazione del presbiterio: manca qui, come nella cappella adibita a sagrestia, la rappresentazione della Crocifissione. Per giustificare questa assenza, si è ipotizzato che la Crocifissione fosse affrescata sulla parete terminale del presbiterio, demolita alla fine del secolo XV, mentre altri pensano che dovesse esistere una tavola con questo tema sull’altare della cappella, e congetturano che sulla parete distrutta fosse raffigurata una Natività, anche perché questa scena è al centro del polittico di Defendente Ferrari sull’altare maggiore.
venerdì 13 settembre 2019
A volte ritornano...
Buongiorno a tutti i lettori, il blog non è stato aggiornato per alcuni mesi per una serie di problemi che, a tutt'oggi, sono in via di risoluzione.
Presto riprenderò a proporvi nuove mete e nuove occasioni per incontrare l'arte.
Vi aspetto e vi ringrazio per la fedeltà...
lunedì 22 ottobre 2018
Intervista
Vi segnalo l'intervista che ho rilasciato alla Casa Editrice: http://blog.booksprintedizioni.it/area-press/intervista-dell-autore/item/3619-intervista-allautore-gian-luca-azzalin
lunedì 15 ottobre 2018
E' in libreria!
Il mio primo romanzo è in edicola lo trovate su: https://www.booksprintedizioni.it/libro/romanzo/la-croce-di-bliant o anche nelle librerie tradizionali.