Padova. «Lei è matto. Ormai i prestiti si fanno solo fra i grandi musei, non certo a una città di provincia come Padova». È stata questa la prima reazione di David Alan Brown, direttore della sezione dipinti italiani della National Gallery of Art di Washington alla richiesta di avere in prestito il ritratto del Cardinale, capolavoro di Tiziano, espressa due anni fa da Guido Beltramini, curatore, insieme a Davide Gasparotto e Adolfo Tura, della mostra «Pietro Bembo e l’invenzione del Rinascimento. Capolavori da Bellini a Tiziano da Mantegna a Raffaello». «Però io appartengo alla vecchia scuola e se il progetto è convincente, potrei cambiare parere», ha poi aggiunto.
Così ha avuto inizio una serie di prestiti eccezionali, come un disegno di Michelangelo dal British Museum o «Il ritratto di giovane» del Giorgione da Budapest. Così eccezionali da rendere impossibile che la mostra sia itinerante. Dunque la si vedrà solo a Palazzo del Monte a Padova, dal 2 febbraio al 19 maggio 2013.
La mostra, organizzata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e dal Cisa di Vicenza, è stata presentata con ampio anticipo, in quella che è stata individuata come la casa del Bembo a Padova (ora sede del Museo della Terza Armata), acquistata nel 1527 dalla Serenissima, in un’asta sembra un po’ truccata. Casa diventata ben presto la sede del primo museo moderno e punto di riferimento imprescindibile degli intellettuali di tutta Europa, che vi affluivano per rendere omaggio a uno dei più importanti, se non il più importante, degli umanisti rinascimentali, autore di quelle Prose della volgar lingua, edite nel 1525, che conferirono all’italiano la dignità di lingua nazionale, almeno in ambito letterario. La stessa operazione che svolsero, per quanto nelle arti, Michelangelo e Raffaello, eredi della tradizione classica e, nello stesso tempo, promotori di un nuovo linguaggio universale, quello del Rinascimento. Come osservava, puntualmente, Bembo, che certo fu in contatto con Michelangelo, ma soprattutto ebbe un rapporto di amicizia con Raffaello: lo testimoniano lo scambio epistolare e soprattutto lo splendido doppio ritratto eseguito dal maestro perugino, ora nella collezione Doria Pamphilj.
La relazione con Raffaello risale al 1507, quando Bembo si trova, nella sua veste ufficiale di poeta alla Corte di Urbino. Ecco uno dei momenti cruciali nella sua esperienza: la frequentazione, agli esordi del 1500, delle corti italiane, compresa quella estense a Ferrara, dove si trovava anche Lucrezia Borgia, con la quale ebbe una relazione turbolenta, durata un paio di anni. Tanto è vero che in mostra sarà esibita una ciocca dei biondi capelli della duchessa. Ecco un aspetto inedito dell’«uomo nuovo»: le pene d’amore, quello sguardo, venato di malinconia, del ritratto di Giorgione. Che trova la sua teorizzazione negli Asolani, pubblicati nel 1505 da Aldo Manuzio e non a caso dedicati alla stessa Lucrezia. È l’esaltazione della vita di corte, splendida e pur ancora frammentata.
Il salto decisivo avviene nella Roma di papa Leone X, di cui Bembo è segretario dal 1513 fino alla morte del pontefice nel 1521. La corte papale, infatti, diventa l’epicentro del Rinascimento, un fenomeno dalle dimensioni non solo italiane, ma anche europee. Qui si rafforzò il legame con Raffaello. In mostra, tra l’altro, sarà riprodotta, in scala 1:1, la «Stufetta», il bagno privato del cardinal Bibbiena.
Dal Vaticano arriva un altro prestito importantissimo: un arazzo in oro e argento, disegnato sempre da Raffaello. A Roma si rafforza anche il gusto per l’antichità. Con il che si ritorna alle collezioni d’arte che Bembo possedeva, in parte ereditate dal padre Bernardo, patrizio veneziano con importanti incarichi politici, come il «Ritratto di santa Veronica», di Hans Memling; in parte acquisiti, grazie alla rete di pubbliche relazioni di Pietro.
Non solo oggetti di grande dimensioni, anche piccoli, anche a carattere scientifico, da esibire, far toccare certo, ma soprattutto materiale di studio, comprese anche le rare specie arboree presenti (a conferma del binomio arte-natura quale quintessenza dello stile di vita dell’uomo rinascimentale) nel magnifico e vasto giardino sul retro della villa, oggi fortemente ridimensionato.
Tiziano da Washington sì, Mantegna da Venezia no
La mostra cerca di ricostruire non solo l’atmosfera di quegli anni, che videro, sia pure per un breve periodo e grazie a Bembo, Padova quale capitale della cultura italiana, ma anche la collezione, inclusa la favolosa biblioteca, dispersa, subito dopo la morte, dal figlio Torquato.
In questo ritorno, manca, almeno per ora, uno dei tasselli più importanti: il «San Sebastiano» del Mantegna, ora appartenente alla Ca' d'Oro di Venezia. Beltramini, forte del precedente del ritratto di Tiziano della National Gallery di Washington, agogna ad averlo; con più di una perplessità da parte delle Soprintendenza, che, pur ammettendo la legittimità della richiesta, è assai restia a concedere un’opera che tra l’altro figura nell’elenco delle opere inamovibili, stilato dal Ministero in accordo con le Soprintendenze (lo è anche la «Tempesta» di Giorgione, che però di recente è stata spostata più volte). Per di più come sguarnire la Ca’ d'Oro della sua opera più rappresentativa?
Come se non bastasse la Ca' d'Oro è stata penalizzata negli ultimi mesi dalle chiusure domenicali, a causa del blocco degli straordinari, e dal restauro in corso. Concluso il quale, a fine agosto, occorre un'azione di rilancio. Possibile senza il «San Sebastiano»? «Del resto, osserva Giovanna Damiani, soprintendente al Polo museale veneziano, a cui spetta formulare il parere, non è stato concesso neppure in occasione della retrospettiva del Mantegna». In quel caso il curatore era Vittorio Sgarbi, che non ha mai perdonato questa «scortesia» all’allora soprintendente Giovanna Nepi Scirè.
Questo l’orientamento. Ma per una decisione c’è ancora tempo e Guido Beltramini, nella sua garbata determinazione, spera, ancora, di riuscire a ottenerlo, il «San Sebastiano».
Così ha avuto inizio una serie di prestiti eccezionali, come un disegno di Michelangelo dal British Museum o «Il ritratto di giovane» del Giorgione da Budapest. Così eccezionali da rendere impossibile che la mostra sia itinerante. Dunque la si vedrà solo a Palazzo del Monte a Padova, dal 2 febbraio al 19 maggio 2013.
La mostra, organizzata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e dal Cisa di Vicenza, è stata presentata con ampio anticipo, in quella che è stata individuata come la casa del Bembo a Padova (ora sede del Museo della Terza Armata), acquistata nel 1527 dalla Serenissima, in un’asta sembra un po’ truccata. Casa diventata ben presto la sede del primo museo moderno e punto di riferimento imprescindibile degli intellettuali di tutta Europa, che vi affluivano per rendere omaggio a uno dei più importanti, se non il più importante, degli umanisti rinascimentali, autore di quelle Prose della volgar lingua, edite nel 1525, che conferirono all’italiano la dignità di lingua nazionale, almeno in ambito letterario. La stessa operazione che svolsero, per quanto nelle arti, Michelangelo e Raffaello, eredi della tradizione classica e, nello stesso tempo, promotori di un nuovo linguaggio universale, quello del Rinascimento. Come osservava, puntualmente, Bembo, che certo fu in contatto con Michelangelo, ma soprattutto ebbe un rapporto di amicizia con Raffaello: lo testimoniano lo scambio epistolare e soprattutto lo splendido doppio ritratto eseguito dal maestro perugino, ora nella collezione Doria Pamphilj.
La relazione con Raffaello risale al 1507, quando Bembo si trova, nella sua veste ufficiale di poeta alla Corte di Urbino. Ecco uno dei momenti cruciali nella sua esperienza: la frequentazione, agli esordi del 1500, delle corti italiane, compresa quella estense a Ferrara, dove si trovava anche Lucrezia Borgia, con la quale ebbe una relazione turbolenta, durata un paio di anni. Tanto è vero che in mostra sarà esibita una ciocca dei biondi capelli della duchessa. Ecco un aspetto inedito dell’«uomo nuovo»: le pene d’amore, quello sguardo, venato di malinconia, del ritratto di Giorgione. Che trova la sua teorizzazione negli Asolani, pubblicati nel 1505 da Aldo Manuzio e non a caso dedicati alla stessa Lucrezia. È l’esaltazione della vita di corte, splendida e pur ancora frammentata.
Il salto decisivo avviene nella Roma di papa Leone X, di cui Bembo è segretario dal 1513 fino alla morte del pontefice nel 1521. La corte papale, infatti, diventa l’epicentro del Rinascimento, un fenomeno dalle dimensioni non solo italiane, ma anche europee. Qui si rafforzò il legame con Raffaello. In mostra, tra l’altro, sarà riprodotta, in scala 1:1, la «Stufetta», il bagno privato del cardinal Bibbiena.
Dal Vaticano arriva un altro prestito importantissimo: un arazzo in oro e argento, disegnato sempre da Raffaello. A Roma si rafforza anche il gusto per l’antichità. Con il che si ritorna alle collezioni d’arte che Bembo possedeva, in parte ereditate dal padre Bernardo, patrizio veneziano con importanti incarichi politici, come il «Ritratto di santa Veronica», di Hans Memling; in parte acquisiti, grazie alla rete di pubbliche relazioni di Pietro.
Non solo oggetti di grande dimensioni, anche piccoli, anche a carattere scientifico, da esibire, far toccare certo, ma soprattutto materiale di studio, comprese anche le rare specie arboree presenti (a conferma del binomio arte-natura quale quintessenza dello stile di vita dell’uomo rinascimentale) nel magnifico e vasto giardino sul retro della villa, oggi fortemente ridimensionato.
Tiziano da Washington sì, Mantegna da Venezia no
La mostra cerca di ricostruire non solo l’atmosfera di quegli anni, che videro, sia pure per un breve periodo e grazie a Bembo, Padova quale capitale della cultura italiana, ma anche la collezione, inclusa la favolosa biblioteca, dispersa, subito dopo la morte, dal figlio Torquato.
In questo ritorno, manca, almeno per ora, uno dei tasselli più importanti: il «San Sebastiano» del Mantegna, ora appartenente alla Ca' d'Oro di Venezia. Beltramini, forte del precedente del ritratto di Tiziano della National Gallery di Washington, agogna ad averlo; con più di una perplessità da parte delle Soprintendenza, che, pur ammettendo la legittimità della richiesta, è assai restia a concedere un’opera che tra l’altro figura nell’elenco delle opere inamovibili, stilato dal Ministero in accordo con le Soprintendenze (lo è anche la «Tempesta» di Giorgione, che però di recente è stata spostata più volte). Per di più come sguarnire la Ca’ d'Oro della sua opera più rappresentativa?
Come se non bastasse la Ca' d'Oro è stata penalizzata negli ultimi mesi dalle chiusure domenicali, a causa del blocco degli straordinari, e dal restauro in corso. Concluso il quale, a fine agosto, occorre un'azione di rilancio. Possibile senza il «San Sebastiano»? «Del resto, osserva Giovanna Damiani, soprintendente al Polo museale veneziano, a cui spetta formulare il parere, non è stato concesso neppure in occasione della retrospettiva del Mantegna». In quel caso il curatore era Vittorio Sgarbi, che non ha mai perdonato questa «scortesia» all’allora soprintendente Giovanna Nepi Scirè.
Questo l’orientamento. Ma per una decisione c’è ancora tempo e Guido Beltramini, nella sua garbata determinazione, spera, ancora, di riuscire a ottenerlo, il «San Sebastiano».