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mercoledì 23 gennaio 2013

Turchia, italiani scoprono palazzo degli Ittiti

 
E' tornato alla luce un palazzo costruito intorno al 900 a.C. dal governatore ittita Katuwa, utilizzato anche durante tutta la dominazione assira. E' questa l'ultima scoperta della missione archeologica condotta dall'Universita' di Bologna nel sito di Karkemish, nella Turchia sud-orientale, al confine con la Siria, annunciata dal ''New York Times'', che ha intervistato il direttore degli scavi, Nicolo' Marchetti, docente di archeologia all'Alma Mater.
''Dopo un mese di scavi, la struttura architettonica ha cominciato piano piano a emergere - racconta Marchetti - La parte ovest e' gravemente danneggiata, ma spostandoci verso est abbiamo trovato porzioni meglio conservate". Il ritrovamento avvalora il lavoro degli storici, che attribuiscono a Karkemish il ruolo di citta'-chiave durante i secoli, facendone sede di governo sotto il potere babilonese, ittita, assiro e infine anche romano.
Ma il progetto, sottolinea il ''New York Times'', non si fermera' con il compimento degli scavi: Marchetti prospetta, nel giro di qualche anno, la nascita di un parco archeologico e ambientale che coinvolga e rilanci l'economia di Gaziantep. Questa regione turca, infatti, e' soprattutto agricola e sta subendo i duri colpi del succedersi dei conflitti, oltre al danneggiamento del mercato a causa del contrabbando lungo i confini siriani.

lunedì 14 gennaio 2013

Celebrazioni del passaggio di Enrico VII a Poggibonsi

 

Sarà un 2013 all'insegna della storia di Poggibonsi sotto il nome di Enrico VII, l'imperatore del Sacro Romano Impero che settecento anni fa sostò nell'area della città valdelsana. L'amministrazione comunale infatti, assiemeComitato Arrigo VII ed alla società Archeotipo Srl ha organizzato un calendario di iniziative che si svolgeranno da gennaio a dicembre 2013 dal titolo "Un tuffo nel passato: storie, gesta, tradizioni, personaggi e mestieri al tempo di Enrico VII".
"Vogliamo raccontare, conoscere e rivivere la storia millenaria di Poggibonsi - spiega l'assessore alla Cultura Susanna Salvadori - Grazie al recupero ed agli scavi archeologici della Fortezza e del Cassero conosciamo molto del nostro passato ed in quest'anno vogliamo ricordare con tanti piccoli eventi un momento importante per l'identità valdelsana: il passaggio dell'Imperatore Arrigo e la posa della prima pietra di Monte Imperiale".
Si comincia venerdì 18 gennaio alle 10 quando al teatro Politeama (Sala Maggiore) sarà presentato il vincitore del concorso "Il logo di Arrigo nella matita delle scuole della Valdelsa", sono stati infatti i ragazzi delle scuole locali a realizzare il logo che sarà presente in tutte le iniziative relative alle celebrazioni.

Il riconoscimento al vincitore sarà assegnato dopo i saluti ufficiali dell'amministrazione comunale e del Comitato Arrigo VII. Alle 11,30 poi è prevista una visita all'esposizione dei bozzetti partecipanti al concorso e mostrati in Sala Set del Politeama.

La mostra ufficialmente si inaugurerà il giorno successivo, sabato 19 gennaio quando alle 17 interverranno Mauro Minghi, del laboratorio Costantino Marmocchi e del Comitato Arrigo VII e Marco Valenti dell'Università di Siena dopo di che sarà esposto il plastico "Poggibonsi al tempo di Enrico VII" che illustra la città che Arrigo trovò nella sua permanenza nel nostro territorio, realizzato dal Laboratorio Costantino Marmocchi a partire dal disegno ricostruito da storici locali.
 
La mostra resterà aperta sabato 19 dalle 17 alle 20, domenica 20 e lunedì 21 dalle 16 alle 20. 

Info: http://www.comune.poggibonsi.si.it
 


 

 

 

Un popolo da riscoprire

di Marco Respinti
 
 

Ricostruzione dell’aspetto originario dell’Altare del duca Ratchis conservato al Museo Cristiano di Cividale del Friuli – 737-744.
 
 
I Longobardi sono un popolo bistrattato. Chi enfatizza il ruolo avuto dai Franchi nella costruzione della civiltà europea li considera maldestremamente solo una palla al piede. Chi pecca di nazionalismo ante litteram ne esagera invece anacronisticamente l’importanza. Per questo, contro ogni distorsione neoguelfa o neoghibellina, I Longobardi. Dalle origini mitiche alla caduta del regno in Italia di Nicola Bergamo (LEG, pp. 230, euro 22) è un libro salutare.
L’autore – veneziano, classe 1977, laureatosi a Ca’ Foscari, titolare di un Master of Arts alla Queen’s University of Belfast, borsista alla University of Notre Dame di South Bend, nell’Indiana, e ora dottorando alla prestigiosa École des hautes études en sciences sociales di Parigi – è un bizantinista. Per ciò sa collocare la vicenda longobarda nel contesto giusto, restituendo a essa profondità.
Nel suo studio, dotto ma fruibile anche dai non specialisti, Bergamo ripercorre la bisecolare sfida per il dominio del suolo italico che oppose questa popolazione germanica all’Impero Romano d’Oriente. Molte sono le pagine gustose di una vicenda affascinante che, guidato dal giovane studioso, il lettore può finalmente tornare ad assaporare, dall’accurata ricostruzione della religione odinica, professata originariamente dai Longobardi venuti dal Nord e transitati per l’Est, alla loro conversione al cristianesimo, passata attraverso l’eresia ariana (ma in forma blanda, spiega Bergamo). È però il quadro d’insieme il valore aggiunto del suo libro. Perché con lui i Longobardi tornano a essere i grandi traghettatori dell’Italia dalla tarda antichità al Medioevo, allorché si adoperarono per cementare un ordine sostenibile dopo il tracollo delle istituzioni romane e i trambusti delle guerre gotiche.
Così facendo, infatti, i Longobardi diedero allo Stivale un futuro che altrimenti sarebbe stato impensabile. Per quanto paradossale sembri, fu proprio questo popolo pagano e barbaro a risuscitare l’idea romana di una civitas identitaria basata sulla comunanza culturale e non sul sangue; e il Paese dei mille campanili, omogeneo ma non omologato, ne è ancora l’eredità più feconda.
Opponendosi con successo a Bisanzio, i Longobardi operarono dunque la prima, fondamentale «scelta occidentale» dell’Italia. Altrimenti il Grande Scisma d’Oriente del 1054 avrebbe travolto anche la penisola; e chissà cosa sarebbe stato del Belpaese orientalizzato allorché l’islam prima e il comunismo dopo travolsero tutto l’Est…
Senza volerlo né saperlo, forgiarono l’Italia in un bastione a difesa persino di quella Roma papale che alla fine li scaricò per un altro amore, la restaurazione dell’Impero Occidentale. Riuscirono là dove i Goti mancarono, diedero una possibilità al futuro, restituirono all’Italia la sua vocazione storica, furono il suo vero Risorgimento e poi scomparvero dopo avere interpretato una trama più grande di loro da protagonisti inconsapevoli. Quasi provvidenziali.
da “Libero”, 13/12/2012.

lunedì 17 dicembre 2012

La Certosa di San Martino a Napoli

 
La Certosa di San Martino venne fondata nel 1325 da Carlo d’Angiò, duca di Calabria, sulla sommità del colle che domina l’intero golfo napoletano.
Lo spettacolare complesso, edificato secondo i canoni architettonici dell'Ordine, venne realizzato da Tino di Camaino e Attanasio Primario. Della loro opera restano i grandiosi sotterranei gotici.
La Certosa, infatti, tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Settecento, venne sottoposta ad un radicale rinnovamento.
Furono tre gli architetti che con il loro intervento conferirono alla Certosa la veste attuale: Giovanni Antonio Dosio (1581), destinato a trasformare il severo aspetto gotico nel raffinato stile rinascimentale, Cosimo Fanzago (1623) autore della preziosa veste barocca e Nicola Tagliacozzi Canale (1723) che operò una perfetta sintesi tra architettura, pittura e scultura tipica del gusto rococò.
Nel corso del tempo i migliori artisti lavorarono per i monaci certosini, tra i pittori: Lanfranco, Ribera, Battistello Caracciolo, Luca Giordano, tra gli scultori Giuseppe Sanmartino e Domenico Antonio Vaccaro.
Dalla seconda metà dell’Ottocento la nuova funzione museale determinò profonde modifiche della struttura monastica fino a Novecento inoltrato.
L’attuale ordinamento, frutto di un esemplare restauro architettonico, restituisce la corretta percezione del luogo religioso e la misura dello spazio antico in un percorso museale che alterna testimonianze della storia di Napoli e della Certosa in osmosi con l’incantevole panorama urbano visibile da loggiati, belvederi e giardini.
 
Per chi può, in queste feste, una meta irrinunciabile.
 

sabato 15 dicembre 2012

Brunelleschi, scoperta 'sorella minore' della cupola del Duomo

 
E' stata scoperta, con tutta probabilita', la 'sorella minore' della Cupola del Duomo di Santa Maria del Fiore, che Filippo Brunelleschi (1377-1446) progetto' genialmente senza armature di sostegno. Si tratta di una cupoletta emisferica, con un diametro di circa 3 metri, che e' stata rinvenuta poche settimane fa durante gli scavi eseguiti nel cantiere per l'allestimento del nuovo Museo dell'Opera del Duomo di Firenze (apertura al pubblico prevista nell'ottobre del 2015), nell'area dell'ex Teatro degli Intrepidi, in seguito trasformato in un garage.
L'annuncio dell'importante scoperta 'brunelleschiana', forse il leggendario modellino mai ritrovato, nell'area che fu del cantiere della Cupola del Duomo (1420-1436), e' stato dato oggi a Firenze, durante una conferenza stampa, dall'architetto Francesco Gurrieri, professore ordinario di restauro dei monumenti dell'Universita' di Firenze, gia' preside della Facolta' di Architettura (1995-2000). 
Gli scavi hanno messo in evidenza l'esistenza di strutture, databili tra il XIV e il XV secolo, riconducibili ad attivita' artigianali (presenza di materiali ferrosi, scarti di lavorazione del marmo) collegate al grande cantiere del Duomo. E tra la sorpresa generale, suscitando grande interesse storico-scientifico, e' spuntata fuori la presenza di una cupoletta (mutila in sommita', forse tagliata nel Settecento, in occasione della realizzazione del teatro), costruita con la tecnica a 'spina-pesce': proprio quella tecnica da sempre ricondotta al grande Filippo Brunelleschi; tecnica che gli consenti' di realizzare l'enorme Cupola facendo a meno dell'armatura lignea che, partendo da terra sarebbe stata una vera e propria foresta di tronchi d'albero per sostenere le centine di appoggio della muratura delle volte.