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venerdì 4 settembre 2015

Il restauro della Cappella Paolina in Vaticano



Il restauro della Cappella Paolina ha rappresentato probabilmente l’impresa più impegnativa mai affrontata dal Laboratorio Restauro Dipinti dei Musei Vaticani, non tanto per l’estensione delle superfici, quanto per la complessità dei problemi da affrontare dal punto di vista tecnico e per le scelte riguardanti la restituzione estetica finale.
I sostanziali cambiamenti che la Cappella subì attraverso numerosi interventi manutentivi e di ridipintura, portarono alla scomparsa della memoria storica delle testimonianze stilistiche di vari pontificati. Le metodologie di restauro messe in atto per recuperare i raffinati rilievi in oro zecchino e “stucco romano”, sono state le più svariate ed hanno visto l’impiego di tecniche d’intervento dalle più tradizionali (pulitura chimica e de- scialbo meccanico) alle più attuali (impiego di ablatori ad ultrasoni e di apparecchiature laser) che in sei anni di lavoro hanno consentito il paziente, minuzioso recupero di tutta la valenza plastica originale degli stucchi che facevano da cornice agli affreschi cinquecenteschi.
All’interno delle sontuose cornici in stucco dorato hanno preso nuova vita anche gli affreschi delle volte e delle pareti, opera di Zuccari e Sabbatini, il cui restauro ha previsto sia l’impiego di metodologie canoniche di pulitura eseguita con una soluzione di bicarbonato d’ammonio applicata attraverso carta giapponese a tempo di contatto limitato.
L’intervento sull’intero apparato decorativo e figurativo della Cappella, ha fornito la possibilità di accogliere in un giusto “ambiente” le risultanze del restauro degli ultimi affreschi di Michelangelo Buonarroti: “La Conversione di Saulo e “La Crocefissione di San Pietro”.
I primi test di pulitura sui dipinti di Michelangelo nella Cappella Paolina, sono stati eseguiti nel 2003 e sono stati preceduti da due anni di studi d’indagini scientifiche.
L’intervento di restauro degli affreschi michelangioleschi eseguito da Maurizio De Luca (San Pietro) e Maria Ludmila Pustka (San Paolo), ha previsto una fase iniziale mirata alla rimozione del deposito superficiale di particellato incoerente con pennellesse di pelo di capretto, seguita dall’asportazione del particellato residuo maggior- mente coerente mediante l’impiego di spugne naturali ad alveoli stretti imbevute di acqua deionizzata.
La pulitura definitiva della superficie dipinta, è iniziata con l’applicazione di solventi a bassa tensione superficiale, quale trattamento propedeutico all’impiego di solventi a maggiore polarità, ed è continuata con la messa in soluzione delle sostanze organiche soprammesse che nel tempo si erano scurite, per mezzo di una soluzione satura al 6% di bicarbonato d’ammonio in acqua deionizzata applicata attraverso carta giapponese per un tempo di contatto di un minuto.
La pulitura si è conclusa con la fase di riassunzione del residuo dei solventi con acqua deionizzata attraverso carta giapponese; infine, per la rimozione delle gocce di materiale ceroso, è stata utilizzata la tecnologia laser.
Il Michelangelo “riemerso” dalle risultanze della pulitura, è un artista che si avvale di tutte le peculiarità offerte dalla tradizione tecnica di una pittura murale molto vicina a quella dei suoi maestri quattrocenteschi.
Oltre alle stesure in affresco (pigmenti disciolti in acqua applicati su intonaco umido), l’artista dipinge anche a “mezzo fresco” (pigmenti uniti alla calce su intonaco parzialmente asciutto) ed “a secco” (pigmenti uniti ad un aggregante su intona- co completamente asciutto).
Tra le altre numerose informazioni acquisite, la più rilevante riguarda la scena della Crocefissione, sulla quale il pittore corregge se stesso modificando l’impostazione prospettica della croce che già aveva dipinto; ruota, infatti, il braccio orizzontale di qualche grado verso l’alto ed esegue con- testualmente una nuova mano sinistra dell’Apostolo del quale cambia anche la postura del capo, facendogli assumere una posizione quasi frontale.
Osservando un disegno e alcune copie a stampa di artisti tardo cinquecenteschi, si è potuto anche comprendere come Michelangelo non avesse previsto la realizzazione del panneggio censorio di San Pietro e neanche dei chiodi, tutti elementi che l’osservazione diretta confortata dall’indagine scientifica, hanno permesso di confermare come eseguiti in un momento diverso dalla redazione originaria.
Più numerose erano invece le ridipinture riscontrate nella zona alta della scena della “Conversione di Saulo”; queste furono eseguite soprattutto per mascherare le lacune e l’impoverimento della superficie pittorica di alcuni personaggi causati da pregresse formazioni di sali solubili.
Laddove la perdita parziale di parti originali aveva reso visibile la malta originale, è stato possibile ricostituire la corretta lettura dell’unità potenziale dei soggetti, graduando con colori ad ac- querello la tonalità dell’intonaco rimasto in vista.
Lo studio della sequenza delle “giornate” che hanno scandito il lavoro di realizzazione dei due affreschi, ha portato ad individuare nel gruppo delle “dolenti” ai piedi della croce di San Pietro, le ultime pennellate della vita di Michelangelo.

Maestro Maurizio De Luca, Ispettore e Capo Restauratore del Laboratorio Restauro Dipinti del Vaticano