L'Italia, con i suoi 47 "luoghi protetti", è il Paese con più siti ritenuti essere patrimonio dell'umanità. Oltre a quelli nell'elenco ve ne sono altri 41 in attesa di potere entrare a fare parte della già nutrita lista: gli ultimi inseriti in ordine temporale tra questi sono la "Palermo araba e normanna", ovvero una serie di dieci tra palazzi e chiese (2010), le Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene (2010), l'Etna (2011), il Parco Nazionale della Sila e il Borgo Olivetti di Ivrea (entrambe nominate nel 2012).
L'Unesco (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura) si prefigge lo scopo di avvantaggiare lo scambio in materia di istruzione, scienza e cultura tra nazioni diverse. I dati 2011 segnalano 194 Paesi membri a tutti gli effetti, oltre a 7 nazioni associate.
Uno dei compiti dell'Unesco (alla cui testa vi è stato – nel quadriennio tra il 1958 e il 1961 – l'italiano Vittorino Veronese) è di mantenere la lista dei patrimoni dell'umanità, un elenco di luoghi o siti da preservare nell'interesse della comunità.
Per essere annoverati in tale elenco i siti devono essere ritenuti universali, insostituibili e unici. Ossia non avere eguali nel caso andassero persi o venissero compromessi in modo irrimediabile. Oltre a ciò devono rispondere almeno a uno di dieci parametri che vanno dalla necessità di rappresentare un capolavoro del genio dell'uomo fino ad essere habitat ideale per la conservazione della biodiversità, passando per la bellezza naturale o la particolarità dell'estetica.
Peccato che a questo primato corrisponda, in maniera proporzionale, un sistematico ed endemico disimpegno dell'Italia nella tutela di quei siti considerati patrimonio dell'umanità.
Lo sono per l'umanità, ma per l'Italia e gli italiani?