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domenica 7 aprile 2013

Ridateci Passepartout: je dois apprendre aux curieux...


Pubblichiamo un articolo di Aldo Grasso comparso sul Corriere della sera il 24 settembre 2011 al quale ci associamo unendo la nostra voce alle molte che già hanno invocato il ritorno di Passepartout.
 
Hanno chiuso «Passepartout», l' unica trasmissione culturale della Rai.
Hanno dato il benservito a Philippe Daverio, come fosse una «badante» del sapere, ma nessuno è sceso in piazza a gridare contro l' oscurantismo, la censura, la libertà di pensiero.
Nessuno ha evocato editti bulgari, ha parlato di «funerale del Servizio pubblico» o di «Italia del bavaglio», come a suo tempo era stato fatto per Michele Santoro e Serena Dandini.   
A questo atto di ottusità della Rai, Daverio ha risposto con ironia, componendo un elogio funebre della sua trasmissione: «È improvvisamente mancato "Passepartout", nel pieno della sua salute.
Lo compiangono la redazione tutta e centinaia di migliaia di affezionati suoi seguaci.
La causa del decesso è da ascriversi probabilmente ad una pallottola vagante sparata durante il riordino amministrativo recente della Rai, che si è trovata costretta a passare dall' ordinamento privato della sua gestione a quello pubblico più consono alle risorse erariali che la alimentano».
Poi una stilettata all' ex direttore di Raitre, Paolo Ruffini, passato a La7: «Le truppe di "Passepartout" sono state incoraggiate nel loro impegno dal direttore che le esortava a tenere puliti i ponti e lucidi gli ottoni mentre egli stesso, affezionato capitano, era già sulla scialuppa di salvataggio che lo portava verso un altro bastimento».   
Il motivo della chiusura è di ordine burocratico: dopo che è stato stabilito che i programmi devono essere realizzati con personale interno della Rai, si è scoperto che «Passepartout» è prodotto da Vittoria Cappelli e utilizza risorse esterne all' azienda.
Necessariamente esterne, verrebbe da aggiungere, perché per una piccola produzione del genere, sempre vagante, ci vogliono tecnici che si adattino a tempi e modi non proprio industriali. E poi i costi sono più che sopportabili per Viale Mazzini.
Intanto, però, i contratti sono stati bloccati e il programma è sparito dai palinsesti.    
La burocrazia Rai avrà le sue ragioni e magari un giorno ci spiegherà perché paga format esterni per trasmissioni di interviste e promozioni.
Resta il fatto che sparisce il solo vero programma culturale del Servizio pubblico.
Non basta parlare di cultura per disseminare qualità.
Non è nemmeno essenziale inventare nuovi linguaggi.
È necessario, però, avere competenza, passione e gusto per essere credibili su temi così non comuni. Speriamo che la Rai ci ripensi.
 
Ad oggi la Rai non ci ha ripensato ed evidentemente: je dois apprendre aux curieux...