Da qualche decennio l’arte romanica è alla moda. La si osserva
archeologicamente, la si studia con moderni metodi filologici, la si visita
persino nei viaggi organizzati. Piace la sua austerità imponente, la sua
essenzialità percepita come segno di una forte religiosità, la sua facies
nuda, spoglia, sobria. Ma la basilica di Ripoll o il Fondaco dei Turchi a
Venezia sono veramente edifici romanici? Le cupole della cattedrale di Périgueux
o la facciata di quella di Le Puy sono davvero medievali? Le statue lignee
raffiguranti la Madonna e Cristo con il volto nero erano proprio così brutte e
scarnificate? Ma l’arte romanica che oggi abbiamo davanti ai nostri occhi
corrisponde davvero a quella medievale? In questo libro si mette in discussione
il concetto stesso di romanico e di arte romanica, ne si indagano le origini, e
soprattutto si contestualizza la sua genesi storiografica nel particolare
contesto culturale della prima metà dell’Ottocento, quando in tutta Europa per
la prima volta si scoprì, come d’improvviso, la produzione artistica anteriore
all’avvento di quella maniera di costruire che Vasari definì come tedesca o
portata dai Goti. In quei decenni segnati dalle campagne napoleoniche e dal
Congresso di Vienna, tra Neoclassicismo e Romanticismo, i paesi dell’Europa
decisero di riappropriarsi del proprio passato nazionale, catalogando,
restaurando, studiando e anche ricostruendo l’arte costitutiva di ciascuna
nazione: il romanico. Il libro analizza l’elaborazione storiografica e
nazionalistica dell’idea di romanico, e ne decostruisce le invenzioni e gli
errori, ponendo l’accento su alcune questioni controverse, come la popolarità
degli artisti, il ruolo della donna nell’universo artistico misogino dell’epoca
o la ricca policromia degli edifici. Ma nello stesso tempo svela la vera
personalità del Medioevo romanico, dalla Francia all’Italia, dall’Inghilterra
alla Catalogna, mettendo a confronto idee e modelli architettonici e figurativi,
in un dialogo che dové essere in quei secoli molto più vivace e vitale di quel
che oggi abitualmente pensiamo.