Omaggio a un "grande"...
Philippe Daverio, gallerista e libraio in Milano, italiano d’acquisizione e “franco-crucco” (così si definisce) di formazione culturale, alla domanda su che ne pensa dello stile italiano fa una disamina precisa e tagliente.
“Per la borghesia del nostro paese vale il contrario di ciò che Karl Marx scriveva analizzando questa classe sociale nell’ambito nord europeo e definendola ‘oggi peggio di ieri e domani peggio di oggi.
Ecco, in Italia siamo all’opposto: i veri ineleganti e senza stile si acquattano tra i
“Per la borghesia del nostro paese vale il contrario di ciò che Karl Marx scriveva analizzando questa classe sociale nell’ambito nord europeo e definendola ‘oggi peggio di ieri e domani peggio di oggi.
Ecco, in Italia siamo all’opposto: i veri ineleganti e senza stile si acquattano tra i
pronipoti della piccola nobiltà di provincia e dei professori di liceo degli anni ’30.
Ho grande simpatia per il piccolo borghese nostrano Alberto Sordi, per il ragioniere antropologicamente corretto e funzionale a se stesso alla Lévi-Strauss.
Mentre mi fa imbestialire il déplacé: nel déplacement c’è la categoria senza stile di chi vuol essere identificato per il vestito, che indossa come il manager di seconda categoria con l’orologio portato sopra il polsino della camicia, o come chi sceglie per forza ‘lo sciancratino sub-Caraceni’, quello che Leo Longanesi definiva ‘né di Londra, né di Biella’. E ancora, nel déplacement si assiste a mirabili esempi di kitsch quale può essere il cachemire comprato a Portofino per andare in barca, quando si sa benissimo che la lana giusta è quella cruda e ‘fredda’ dei marinai”.
[…] “Per caso e non per merito sono autenticamente italiano, francese e tedesco. Ma riuscirei ad essere autenticamente maremmano o provenzale, come sono stato autenticamente vestito da Savile Road quando per cinque anni ho lavorato in un ufficio a New York. Questo per dire che oggi si è locali e cosmopoliti e che anche ai tempi nostri la cosa di più difficile comunicazione è la più esteriore e cioè il vestiario, che sta come un punto in equilibrio fra la cafonaggine della macchina e l’esoterismo della casa.”
[…]Dopo l’ammissione di possedere tanta roba, immediata segue [da parte di Daverio] la spiegazione: “Vede, tendenzialmente il maschio è collezionista e ha nei confronti del proprio guardaroba un atteggiamento ‘da Medici’, ossia il guardaroba è il contenitore del tesoro. Ci sono dei momenti in cui si compra tanto mai io, per esempio, da quando tira aria giacobina non ho più acquistato nulla, perché vivo del mio tesoro. Comunque quello che lei definisce il mio stile ha due matrici ben precise: la passione per l’usato – e purtroppo quello doc di livello è in estinzione finché non è vintage, perché diventa seconda pelle e sta benissimo mescolato con le opere della mia seconda fissazione che è il sarto (n.d.r.: l’80% dei suoi vestiti è confezionato su misura da Ambrogio Viganò) che mi permette di applicare il massimo della mia fantasia. In materia di stoffe, che compro rovistando nei fondi di magazzino come faccio cercando i mobili di casa fra gli invenduti delle aste, e in materia di stilismo perché ci tengo a disegnarmi addosso i vestiti. Per il resto, non sopporto le griffe, sono un consumista di camicie che non mi piace comprare a caro prezzo, soffro di tutto ciò che è trendy e amo il formalismo dello smoking perché implica il prendere una doccia prima d’indossarlo.”
Ho grande simpatia per il piccolo borghese nostrano Alberto Sordi, per il ragioniere antropologicamente corretto e funzionale a se stesso alla Lévi-Strauss.
Mentre mi fa imbestialire il déplacé: nel déplacement c’è la categoria senza stile di chi vuol essere identificato per il vestito, che indossa come il manager di seconda categoria con l’orologio portato sopra il polsino della camicia, o come chi sceglie per forza ‘lo sciancratino sub-Caraceni’, quello che Leo Longanesi definiva ‘né di Londra, né di Biella’. E ancora, nel déplacement si assiste a mirabili esempi di kitsch quale può essere il cachemire comprato a Portofino per andare in barca, quando si sa benissimo che la lana giusta è quella cruda e ‘fredda’ dei marinai”.
[…] “Per caso e non per merito sono autenticamente italiano, francese e tedesco. Ma riuscirei ad essere autenticamente maremmano o provenzale, come sono stato autenticamente vestito da Savile Road quando per cinque anni ho lavorato in un ufficio a New York. Questo per dire che oggi si è locali e cosmopoliti e che anche ai tempi nostri la cosa di più difficile comunicazione è la più esteriore e cioè il vestiario, che sta come un punto in equilibrio fra la cafonaggine della macchina e l’esoterismo della casa.”
[…]Dopo l’ammissione di possedere tanta roba, immediata segue [da parte di Daverio] la spiegazione: “Vede, tendenzialmente il maschio è collezionista e ha nei confronti del proprio guardaroba un atteggiamento ‘da Medici’, ossia il guardaroba è il contenitore del tesoro. Ci sono dei momenti in cui si compra tanto mai io, per esempio, da quando tira aria giacobina non ho più acquistato nulla, perché vivo del mio tesoro. Comunque quello che lei definisce il mio stile ha due matrici ben precise: la passione per l’usato – e purtroppo quello doc di livello è in estinzione finché non è vintage, perché diventa seconda pelle e sta benissimo mescolato con le opere della mia seconda fissazione che è il sarto (n.d.r.: l’80% dei suoi vestiti è confezionato su misura da Ambrogio Viganò) che mi permette di applicare il massimo della mia fantasia. In materia di stoffe, che compro rovistando nei fondi di magazzino come faccio cercando i mobili di casa fra gli invenduti delle aste, e in materia di stilismo perché ci tengo a disegnarmi addosso i vestiti. Per il resto, non sopporto le griffe, sono un consumista di camicie che non mi piace comprare a caro prezzo, soffro di tutto ciò che è trendy e amo il formalismo dello smoking perché implica il prendere una doccia prima d’indossarlo.”
Tratto da "La Regola Estrosa - cent'anni di eleganza maschile in Italia", Electa 1993