Il misterioso ‘vulnus’ sulla mano sinistra della Gioconda del Prado sarebbe compatibile con la biografia di Bianca Sforza, rafforzandone quindi l’identificazione come soggetto del dipinto.
Lo sostiene, in sintesi, la studiosa leonardiana Carla Glori.
Il segno sulla mano sinistra della donna ritratta era stato recentemente sottolineato dal capo della sezione di Medicina Interna dell’Ospedale Universitario La Paz de Madrid, Francisco Javier Barbado Hernandez, in un articolo su ‘El Pais’.
La Glori, nel suo recente studio sulla copia coeva del capolavoro leonardiano ritiene che l’anomalia che compare sulla mano sinistra della modella non sia il lipoma, ovvero un tumore benigno del tessuto adiposo, ipotizzato, bensì una ‘traccia’ di frequenti salassi.
L’anomalia, ben visibile, consiste di un oscuramento della pelle: una sorta di livido con piccole lesioni, localizzato tra l’anulare e il mignolo e l’oscuramento si accentua sulla riflettografia, ove nello stesso punto compare una macchia scura estesa. Una differenza che contrasta con le mani perfette dell’originale e, trattandosi della stessa modella, la questione solleva interrogativi.
La studiosa, attraverso una ricostruzione scientifica e storica documenta, l’uso dei medici medioevali, con antiche radici nella scuola di Galeno, nella scuola araba di Rhazes, nella scuola medica salernitana, di ‘cavar sangue’ dalla vena salvatella della mano sinistra per curare svariate malattie, del cuore, del fegato, della milza e altre.
In effetti il punto del ‘vulnus’ sul dorso della mano sinistra, posto tra l’anulare e il mignolo, coincide con il ramo terminale della vena salvatella e secondo la Glori sarebbe uno stravaso, ovvero una perdita di sangue nei tessuti, riconducibile ad una pratica di salassi, effettuati a quella vena allora preferita perchè considerata un diretto proseguimento della vena basilica sul lato ulnare della mano, e in quanto, correndo su un ripiano osseo, il cerusico poteva aggredirla senza danni collaterali.
Intorno a questa vena fiorì in periodo medievale una letteratura varia, oscillante tra scienza e pratica anatomica, folklore e magia. Il salasso della salvatella era citato anche come uno dei principali “remedj d’amore” ed era considerato il miglior rimedio per la malinconia, da applicarsi secondo calendari lunari.
Secondo la studiosa quell’enigmatica mano converge, tra vari altri elementi, ad identificare La Gioconda con Bianca Sforza in quanto da una lettera del funzionario ducale Giacomo Seregno datata 2 agosto 1496, sappiamo che la primogenita del Moro, da mesi sottoposta alle cure dell’archiatra e astrologo Ambrogio da Rosate per una malattia misteriosa, forse da avvelenamento, in quella data rifiutava il salasso, considerato panacea di tutti i mali e allora effettuato con svariate tecniche. Quindi, nell’agosto 1496 (e fino al 23 novembre, giorno in cui morì) Bianca subiva salassi che mal sopportava.
Qualora la ‘lesione’ tra anulare e mignolo della mano sinistra della modella del Prado non sia imputabile a un eventuale difetto non riparabile col restauro, circa il quale mancano però chiarimenti e informazioni, allora andrebbe riferita alla scelta dell’artista allievo di Leonardo, autore della copia, forse il Salaì che ben conosceva Bianca Sforza, che volle lasciare un segno indelebile legato alla storia della Gioconda.
Lo sostiene, in sintesi, la studiosa leonardiana Carla Glori.
Il segno sulla mano sinistra della donna ritratta era stato recentemente sottolineato dal capo della sezione di Medicina Interna dell’Ospedale Universitario La Paz de Madrid, Francisco Javier Barbado Hernandez, in un articolo su ‘El Pais’.
La Glori, nel suo recente studio sulla copia coeva del capolavoro leonardiano ritiene che l’anomalia che compare sulla mano sinistra della modella non sia il lipoma, ovvero un tumore benigno del tessuto adiposo, ipotizzato, bensì una ‘traccia’ di frequenti salassi.
L’anomalia, ben visibile, consiste di un oscuramento della pelle: una sorta di livido con piccole lesioni, localizzato tra l’anulare e il mignolo e l’oscuramento si accentua sulla riflettografia, ove nello stesso punto compare una macchia scura estesa. Una differenza che contrasta con le mani perfette dell’originale e, trattandosi della stessa modella, la questione solleva interrogativi.
La studiosa, attraverso una ricostruzione scientifica e storica documenta, l’uso dei medici medioevali, con antiche radici nella scuola di Galeno, nella scuola araba di Rhazes, nella scuola medica salernitana, di ‘cavar sangue’ dalla vena salvatella della mano sinistra per curare svariate malattie, del cuore, del fegato, della milza e altre.
In effetti il punto del ‘vulnus’ sul dorso della mano sinistra, posto tra l’anulare e il mignolo, coincide con il ramo terminale della vena salvatella e secondo la Glori sarebbe uno stravaso, ovvero una perdita di sangue nei tessuti, riconducibile ad una pratica di salassi, effettuati a quella vena allora preferita perchè considerata un diretto proseguimento della vena basilica sul lato ulnare della mano, e in quanto, correndo su un ripiano osseo, il cerusico poteva aggredirla senza danni collaterali.
Intorno a questa vena fiorì in periodo medievale una letteratura varia, oscillante tra scienza e pratica anatomica, folklore e magia. Il salasso della salvatella era citato anche come uno dei principali “remedj d’amore” ed era considerato il miglior rimedio per la malinconia, da applicarsi secondo calendari lunari.
Secondo la studiosa quell’enigmatica mano converge, tra vari altri elementi, ad identificare La Gioconda con Bianca Sforza in quanto da una lettera del funzionario ducale Giacomo Seregno datata 2 agosto 1496, sappiamo che la primogenita del Moro, da mesi sottoposta alle cure dell’archiatra e astrologo Ambrogio da Rosate per una malattia misteriosa, forse da avvelenamento, in quella data rifiutava il salasso, considerato panacea di tutti i mali e allora effettuato con svariate tecniche. Quindi, nell’agosto 1496 (e fino al 23 novembre, giorno in cui morì) Bianca subiva salassi che mal sopportava.
Qualora la ‘lesione’ tra anulare e mignolo della mano sinistra della modella del Prado non sia imputabile a un eventuale difetto non riparabile col restauro, circa il quale mancano però chiarimenti e informazioni, allora andrebbe riferita alla scelta dell’artista allievo di Leonardo, autore della copia, forse il Salaì che ben conosceva Bianca Sforza, che volle lasciare un segno indelebile legato alla storia della Gioconda.