di Angela Migliore
Hermann Hesse, come il suo “Peter Camenzind”, sovrano di un regno da lui stesso creato, uomo costantemente affascinato dalla singolarità e dall’autonomia dell’individuo e fortemente in contrasto con la tendenza della storia moderna a subordinare la personalità alla soddisfazione delle esigenze collettive.
“Quello che mi ha sempre riempito la vita – afferma infatti – quello che mi ha realmente formato non sono stati i problemi sociali, ma i problemi dell’individuo”, perno principale delle sue opere, attraverso le quali riesce a farsi interprete del doloroso dissidio che si lacera tra mondo e spirito, esercitando l’arte poetica come servizio d’amore reso agli altri.
Successivamente alla “prigionia” in una clinica psichiatrica, l’instabilità tormentata dei suoi nervi, la sua profondità di pensiero, la sua sensibilità, la sua integrità e la sua vocazione per l’evasione (magari persino dalla vita, giacché tentò il suicidio), lo spingono, coerentemente con quanto afferma Magris, a diventare il cantore della libertà individuale mediante la sua poesia del vagabondare, del qui e adesso, diventando presto uno scrittore di grande fama, considerato dai giovani un vero e proprio consigliere.
Tutte le sue opere possono essere intese come “una difesa dell’individuo e, talvolta, come un grido d’angoscia in favore di tale difesa”.
Un grido la cui intensità raggiunge l’anima del lettore penetrandola sino negli angoli più reconditi, ubriacandola di profonde riflessioni, persuadendola all’introspezione, nutrendola dei dubbi e dei conflitti interiori che divorano mente e cuore dei personaggi limpidamente affrescati nei suoi romanzi e dietro i quali si cela, sotto infinite sfumature, il volto dello stesso autore.
Hesse come Camenzind, innamorato delle cime e delle nubi.
Hesse come il protagonista di “Unterm Rad”, che si ribella ai vincoli della scuola e della famiglia e soffoca nelle biblioteche, consumato dalla nostalgia di ciò che è lontano.
Hesse come Knulp, che va di villaggio in villaggio per dare a coloro che conducono una vita sedentaria e limitata, un po’ di nostalgia, un rimpianto per la libertà che lui ha saputo conservare.
Soprattutto Hesse come Boccadoro, viandante libero che sa assaporare la dolcezza e assieme l’asperità della strada, immerso nella vita e nelle sue contraddizioni, proteso verso l’attuazione di se stesso e alla ricerca, nell’amore come nell’arte, della diversità mondana.
“Narziss und Goldmund”, come del resto afferma Baldacci, offre una delle più significative chiavi spiritualistiche tra quante furono adoperate per sanare il male di vivere dello scorso secolo. Ambientato nel Medioevo, costituisce un romanzo simbolico imperniato sul dissidio-identità di mondo e spirito e reso particolarmente suggestivo dal contrasto tra ragione e sentimento, azione e contemplazione espresso mediante la diversità e, al tempo stesso, la complementarità dei due protagonisti, legati indissolubilmente dal sentimento dell’amicizia.
Narciso diventa lo specchio di Boccadoro, lo aiuta a scoprire se stesso, a ritrovare il volto della madre, ad ascoltare il suo cuore ed a lasciarsi guidare dal proprio istinto. Lo scolaro poi artista vagabondo, riccamente dotato nei sensi e nello spirito, straordinariamente capace di infiammarsi e donarsi, di sentire ed amare, a sua volta, nutre l’anima del novizio successivamente abate, arricchisce la sua vita, lo abitua all’amore, gli insegna ad amare, a non lasciare inaridire il suo cuore troppo spesso inascoltato, soffocato dalla ragione, perso nei meandri del suo pensare erudito.
Il premio Nobel 1946 ci indica, quindi, l’intenso percorso di vita di due uomini straordinari in grado di scavarsi dentro reciprocamente e di vedere nell’altro la parte incompiuta di sè. Due uomini che proseguono il viaggio della loro esistenza camminando lungo due biforcazioni di una stessa strada: il pensiero puro e il pensiero per rappresentazioni, entrambe espressioni della medesima esigenza, quella di attuare se stessi cercando di procedere dalla potenza all’azione, dalla possibilità all’attuazione, partecipando, in tal modo, al vero essere e divenendo, così, di un grado più simili al perfetto e al divino.
Narciso asceta, Boccadoro artista: entrambi impegnati a vivere seguendo la propria vocazione, entrambi dediti a compiere la propria missione, a svolgere il proprio ruolo, a ricercare l’unità, la verità ultima chiusa in ciascuno di noi, in giro per il mondo, sotto le stelle e tra le lande, come all’interno di un convento. Hesse ci regala un capolavoro senza tempo, venti capitoli da considerarsi altrettante preziose gemme incastonate all’interno di un’opera che parla al cuore e induce alla più profonda riflessione, un libro al quale accostarsi in punta di piedi, un libro da assorbire e da vivere, un libro da amare.
“Quello che mi ha sempre riempito la vita – afferma infatti – quello che mi ha realmente formato non sono stati i problemi sociali, ma i problemi dell’individuo”, perno principale delle sue opere, attraverso le quali riesce a farsi interprete del doloroso dissidio che si lacera tra mondo e spirito, esercitando l’arte poetica come servizio d’amore reso agli altri.
Successivamente alla “prigionia” in una clinica psichiatrica, l’instabilità tormentata dei suoi nervi, la sua profondità di pensiero, la sua sensibilità, la sua integrità e la sua vocazione per l’evasione (magari persino dalla vita, giacché tentò il suicidio), lo spingono, coerentemente con quanto afferma Magris, a diventare il cantore della libertà individuale mediante la sua poesia del vagabondare, del qui e adesso, diventando presto uno scrittore di grande fama, considerato dai giovani un vero e proprio consigliere.
Tutte le sue opere possono essere intese come “una difesa dell’individuo e, talvolta, come un grido d’angoscia in favore di tale difesa”.
Un grido la cui intensità raggiunge l’anima del lettore penetrandola sino negli angoli più reconditi, ubriacandola di profonde riflessioni, persuadendola all’introspezione, nutrendola dei dubbi e dei conflitti interiori che divorano mente e cuore dei personaggi limpidamente affrescati nei suoi romanzi e dietro i quali si cela, sotto infinite sfumature, il volto dello stesso autore.
Hesse come Camenzind, innamorato delle cime e delle nubi.
Hesse come il protagonista di “Unterm Rad”, che si ribella ai vincoli della scuola e della famiglia e soffoca nelle biblioteche, consumato dalla nostalgia di ciò che è lontano.
Hesse come Knulp, che va di villaggio in villaggio per dare a coloro che conducono una vita sedentaria e limitata, un po’ di nostalgia, un rimpianto per la libertà che lui ha saputo conservare.
Soprattutto Hesse come Boccadoro, viandante libero che sa assaporare la dolcezza e assieme l’asperità della strada, immerso nella vita e nelle sue contraddizioni, proteso verso l’attuazione di se stesso e alla ricerca, nell’amore come nell’arte, della diversità mondana.
“Narziss und Goldmund”, come del resto afferma Baldacci, offre una delle più significative chiavi spiritualistiche tra quante furono adoperate per sanare il male di vivere dello scorso secolo. Ambientato nel Medioevo, costituisce un romanzo simbolico imperniato sul dissidio-identità di mondo e spirito e reso particolarmente suggestivo dal contrasto tra ragione e sentimento, azione e contemplazione espresso mediante la diversità e, al tempo stesso, la complementarità dei due protagonisti, legati indissolubilmente dal sentimento dell’amicizia.
Narciso diventa lo specchio di Boccadoro, lo aiuta a scoprire se stesso, a ritrovare il volto della madre, ad ascoltare il suo cuore ed a lasciarsi guidare dal proprio istinto. Lo scolaro poi artista vagabondo, riccamente dotato nei sensi e nello spirito, straordinariamente capace di infiammarsi e donarsi, di sentire ed amare, a sua volta, nutre l’anima del novizio successivamente abate, arricchisce la sua vita, lo abitua all’amore, gli insegna ad amare, a non lasciare inaridire il suo cuore troppo spesso inascoltato, soffocato dalla ragione, perso nei meandri del suo pensare erudito.
Il premio Nobel 1946 ci indica, quindi, l’intenso percorso di vita di due uomini straordinari in grado di scavarsi dentro reciprocamente e di vedere nell’altro la parte incompiuta di sè. Due uomini che proseguono il viaggio della loro esistenza camminando lungo due biforcazioni di una stessa strada: il pensiero puro e il pensiero per rappresentazioni, entrambe espressioni della medesima esigenza, quella di attuare se stessi cercando di procedere dalla potenza all’azione, dalla possibilità all’attuazione, partecipando, in tal modo, al vero essere e divenendo, così, di un grado più simili al perfetto e al divino.
Narciso asceta, Boccadoro artista: entrambi impegnati a vivere seguendo la propria vocazione, entrambi dediti a compiere la propria missione, a svolgere il proprio ruolo, a ricercare l’unità, la verità ultima chiusa in ciascuno di noi, in giro per il mondo, sotto le stelle e tra le lande, come all’interno di un convento. Hesse ci regala un capolavoro senza tempo, venti capitoli da considerarsi altrettante preziose gemme incastonate all’interno di un’opera che parla al cuore e induce alla più profonda riflessione, un libro al quale accostarsi in punta di piedi, un libro da assorbire e da vivere, un libro da amare.